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Al Pacino e le risposte da dare di Pecchia

Il Verona dopo Avellino è a terra. Per rialzarlo ci vuole un discorso alla Tony D'Amato

Lorenzo Fabiano

Sarà l’aria del Partenio, fatto sta che il Verona di Avellino è un desaparecido, buono quale oggetto d’inchiesta per Federica Sciarelli su Chi l’ha Visto.  Su novanta minuti, l’Hellas è stato in campo soltanto per la prima mezz’ora durante la quale, se vogliamo, ha fatto quasi tutto bene. Ispirati dalla vena di Bessa, piazzato da Pecchia a suggerire sulla trequarti, e sospinti da un Romulo esplosivo, i gialloblù hanno condotto la gara  sulle congeniali frequenze del palleggio e dell’articolazione della manovra. Non sono mancate le occasioni; l’inzuccata a lato di Juanito Gomez, la più clamorosa. Tutto lasciava presagire ad un pomeriggio positivo, fino a quando con l’infortunio di Romulo, si è spenta la luce. Il Verona è praticamente uscito dal campo insieme all’italo-brasiliano.

Da quel momento in poi è stata solo una gran confusione e una palese mancanza di idee.  Tanta frenesia, zero lucidità. Un filo interrotto. Nella ripresa, dieci minuti sono bastati all’Avellino per presentare il conto. Complici la sciocchezza di Caracciolo su Ardemagni e il pasticcio di Nicolas su un tiro non proprio irresistibile di Verde, il Verona è andato in bambola finendo al tappeto. Una bocciatura secca, senza alibi, come onestamente ha riconosciuto lo stesso Pecchia ai microfoni di Sky a fine gara. 

Purtroppo, lontano dal Bentegodi l’Hellas si fa piccolo piccolo. Quattro sconfitte nelle ultime cinque trasferte, non rappresentano esattamente una  marcia trionfale dell’Aida. Ad un attacco atomico (quando in campo c’è Pazzini) fa da contraltare una difesa che con 29 reti subite non ha certo le fattezze di una grande muraglia. Pecchia ha sulla scacchiera tre pedine di categoria superiore: Pazzini, Romulo, e Bessa. Senza il primo, perso a partita in corso il secondo, il solo Daniel non ha evitato al Verona di ridimensionarsi a creatura del tutto normale e se la giornata non è di grazia, pure mediocre. Lo temevamo e la conferma è puntualmente arrivata nell’infausto pomeriggio di Avellino.

A ventiquattr’ore dagli orrori di ieri, non è la classifica a preoccuparci di più. Perso il primato, il campionato è ancora molto lungo e i giochi rimangono apertissimi. La cosa più grave emersa ieri è semmai la fragilità in fatto di personalità. Il Verona si è dissolto, evaporato. Ha finito in preda ai nervi e all’ansia. Non è da squadra di rango. Dispiace soprattutto questo, specie se ci riferiamo a un gruppo esaltato a più riprese per valore e dedizione. Pecchia ci ha messo la faccia e non ha usato mezzi termini per stigmatizzare la deludente prova dei suoi. Si è assunto con onestà le sue responsabilità. Gliene va dato atto, ma non basta.  Urgono ora risposte immediate: ci attendono due scontri diretti da dentro o fuori con Spal in casa e Frosinone in Ciociaria.

Sta all’allenatore trovare soluzioni e dare le risposte sul campo. Come? Fossimo in lui partiremmo da un discorsetto forte e chiaro tra le mura dello spogliatoio. Gli suggeriamo di rivedersi Al Pacino nella memorabile sequenza del film “Ogni Maledetta Domenica” diretto da Oliver Stone, quando nei panni del ruvido coach Tony D’Amato così caricava i suoi alla vigilia della partita decisiva. Chissà che in queste parole non possa trovare qualche utile spunto: “Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro, fino alla disfatta. Siamo all'inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell'inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. (...) Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?” 

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