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Quando “Il grande freddo” fu a Cesena. Ora la storia va cambiata

Nel 1990 il Verona andò in B in Romagna e fu la fine di una generazione. Adesso la A è un sogno da inseguire

Matteo Fontana

Dov’eravate il 29 aprile 1990? Per qualsiasi veronese, quella data, quel momento, è pari a quanto provano gli americani quando si parla dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, o per tutti gli italiani l’annuncio del sequestro di Aldo Moro. Esageriamo? Forse sì, e perfino volutamente, perché i fatti tragici non vanno confusi con episodi di sport, però ci si consenta di dire e scrivere che per alcune generazioni la sconfitta dell’Hellas a Cesena, quella domenica al “Manuzzi”, ebbe l’impatto rivoluzionario e doloroso di quanto accaduto nelle circostanze enunciate.

Scusate se mi consento di usare la prima persona singolare, ma è qualcosa di necessario. Si tratta di elaborare un trauma post-infatile, preadolescenziale, la sofferenza di un ragazzino tredicenne che viveva di pallone e Verona. Quando Massimo Agostini, il “Condor”, segnò la rete che spedì l’Hellas in Serie B ero appena entrato al Palaolimpia. Ero in terza media e andai a vedere una gara dei playout per l’A1 di pallacanestro assieme al mio caro compagno di classe Simone, che poi si è fatto frate (ma non per quel che avvenne con il Cesena, sia ben chiaro). Ricordo ogni dettaglio di quel giorno. La radio accesa, la speranza ascoltata con miei genitori, che ora non ci sono più. Il tragitto verso il palazzetto, con la Glaxo che giocava contro la Paini Napoli di un formidabile Walter Berry. L’ansia di perdersi qualche istante della gara del Verona. L’ingresso, gli altoparlanti che trasmettevano la radiocronaca di Roberto Puliero. Quel gol, quella sconfitta, la fine.

Il calcio è la nostra vita. Ogni giorno provo a convincermi che non sia così. Ogni giorno accetto il contrario. La fortuna mi ha consentito di seguire da osservatore privilegiato lo sport e il Verona. Ho la necessità di mantenere l’equilibrio, e questo è un vantaggio che non mi costa poca fatica ma che apprezzo sempre di più. Mi fa piacere potermi porre fuori dalla corrente, penso che sia un obbligo, un gesto doveroso.

Giovedì l’Hellas sarà a Cesena e sfiderà il passato. Penserà al presente, e dopo al futuro. Ricordo una delle ultime frasi del mio film preferito, “Il grande freddo”: “In tutto questo vedo un senso di iterazione”, dice JoBeth Williams. E Jeff Goldblum fa, parlando del romanzo che sta preparando: “Scrivevo di giorni perduti. Ora scriverò di speranze ritrovate”. Ripenso a Cesena 1990. Sono passati ventisette anni, ma è come se fosse trascorso un giorno. E so che un’intera generazione la pensa così.

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