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Bidoni, campioni, fuoriclasse e patacche: è il mercato di riparazione, baby

Da Giacomarro a "White Jesus" Morfeo, dall'acquisto di Nigmatullin alla cessione di Italiano, il Verona alle grandi manovre

Matteo Fontana

Il mercato pallonaro divenne una sarabanda con poche regole negli anni ’80. E fu in quel periodo che la “finestra” di riparazione si trasformò in un appuntamento stabile, con squadre che, con il progressivo allargamento delle rose, sarebbero state persino rivoluzionate, all’occorrenza. Cosa, questa, che si verificò in seguito, ai tempi del gigantismo del calcio italiano, infine sorretto dai miliardoni versati per i diritti televisivi.

In questi giorni, così, il tema-tormentone è sempre quello: chi compra chi, chi vende chi. Il Verona, parola del ds Filippo Fusco, ha bisogno di minimi ritocchi. Il girone d’andata ha dato evidenti indicazioni positive, il ritorno resta un libro da scrivere. Certo, il passato dell’Hellas è fatto di vicende, quanto, appunto, al mercato “correttivo”, contrastanti.

Storie da raccontare. Storie di bidoni e campioni. Storie di mestieranti, di talenti, colpi di genio e patacche. Era il 1989 e il Verona, che per evitare il “crac” economico aveva azzerato l’organico in estate, in autunno (all’epoca non c’era la sessione di gennaio) scambiò con la Triestina l’ultimo dei giocatori rimasti dal passato, Antonio Terracciano, con un pedalatore di centrocampo che era risalito lungo la piramide delle categorie professionistiche con il Licata, per poi trasferirsi all’Unione: Domenico Giacomarro. Fu una sorta di categoria dello spirito.

Ci sono stati acquisti fenomenali, come quello di un altro Domenico, Morfeo: nel 2000, stavolta sì a gennaio, Cesare Prandelli convinse Giambattista Pastorello a prelevare quel suo pupillo, addestrato nelle giovanili dell’Atalanta, che aveva le stimmate del fuoriclasse ma, pure, un carattere bizzoso. Il suo innesto cambiò la stagione del Verona. Eppure, per un infortunio che lo escluse dal finale di campionato, giocò solamente 10 partite in gialloblù. Segnò 5 gol, tutte perle sublimi. Era un “White Jesus”, Morfeo, uno che, con il pallone, poteva camminare sulle acque. In un epico 4-3 in rimonta al Parma, negli ultimi minuti calciò al volo su un rimbalzo e centrò la traversa, lasciando Gigi Buffon, portiere avversario, di stucco. E fu solamente una delle innumerevoli magie di quel suo passaggio all’Hellas. Non giocava con il 10 sulla maglia, ma con l’8. Chi l’ha visto in quei giorni a Verona, se chiude gli occhi, può ricominciare a sognare in qualsiasi momento.

Erano gli anni in cui Pastorello, di mosse, ne sbagliava ben poche. A ottobre 1998 prese Antonio Marasco, soffiandolo al Chievo, Stefano Guidoni e Martino Melis. Furono carburante e frombole dell’Hellas che cavalcò verso la Serie A. Ma il tocco del presidente del Verona si attenuò presto. Questione di money, dinero. Pastorello non ha mai smesso di pentirsi della mancata cessione di Adrian Mutu alla Juventus, nell’inverno del 2002. L’Hellas di Alberto Malesani restò a secco di risultati e di stipendi (cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia) e piombò in B. A gennaio Rino Foschi, all’epoca direttore sportivo del club di Corte Pancaldo, con un blitz in Russia prese Ruslan Nigmatullin (nella foto): giocava nella Lokomotiv Mosca ed era uno dei migliori portieri europei. A Verona disputò una partita, prese tre gol dall’Inter, evitandone qualche altro, poi fu soltanto un peso per i bilanci. Adesso è un quotato DJ delle notti attorno al Cremlino.

Ci sono stati Iunco, Vicari, Pizzinat, Soligo, De Simone. C’è stata la cessione di Vincenzo Italiano al Genoa che troncò le ambizioni di Serie A dell’Hellas targato Massimo Ficcadenti, nel 2005. C’è stato un Verona che si frugò nelle tasche e non trovò alcune migliaia di euro per ingaggiare Mirco Gasparetto, attaccante dell’Empoli, nel 2006. Un altro che, nel 2007, ribaltò la rosa, con Peppe Cannella ds e Giampiero Ventura allenatore, per poi cavarne poco: dei nuovi innesti, solamente Claudio Ferrarese incise, contribuendo alla rimonta nel campionato di Serie B che si concluse con la retrocessione allo spareggio con lo Spezia.

E un altro ribaltone lo fece, da uomo-mercato per pochi mesi, Giovanni Galli, l’anno dopo, in C1. Ma il miglior acquisto di quell’inverno fu un ragazzino arrivato dal Brasile, mingherlino e timido fuori quanto predestinato sul campo: Jorge Luiz Frello, detto Jorginho.

L’elenco potrebbe andare avanti a oltranza. Dire di quanto proprio Jorginho fu venduto da Maurizio Setti per un pacco di milioni di euro al Napoli. O di come lo stesso Setti aveva sborsato denari per mettere nel motore del Verona gli uomini che servivano per centrare la promozione in Serie A: Agostini e Sgrigna (con Bianchetti e Nielsen). Giovanni Martinelli pagò uno sproposito al Gallipoli Francesco Di Gennaro, che segnò la miseria di due gol in un Hellas che mancò la B nella maniera più beffarda.

È la grande carovana del mercato di riparazione, baby. Quello in cui le vetrine sono più luccicanti e i cartellini dei prezzi attirano, con il rischio della fregatura. L’Hellas sta per prendere Bruno Zuculini, fratello d’arte: se fosse un Marasco, la promozione sarebbe una cambiale soltanto da incassare. Ma non basta: a volte anche una macchina che funziona deve fare il tagliando e sistemare convergenza e gomme. E il Verona non può sbagliare il pit-stop di gennaio.

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Lo show di Morfeo

 

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