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A testa bassa

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Il Verona va sempre più giù, tra illusioni, contestazioni e amarezza

Lorenzo Fabiano

«E tu cosa ci fai qua?». «Mah…oggi è una di quelle partite dove c’è più bisogno di tifosi che di giornalisti». Sono tornato in curva, erano anni che non ci mettevo piede. L’occasione era quella giusta, uno di quei pomeriggi in cui il tuo Verona si gioca un po’ tutto, faccia compresa. Ci credevo, come ci credevamo un po’ tutti dopo aver visto i nostri mettere alle strette la Juve. E invece nulla, è andata ancora una volta male, come peggio non si può. Decima sconfitta consecutiva, ultimo posto in classifica, salvezza che si allontana sempre di più, squadra alla sbando, presidente e giocatori contestati, non si salva nessuno. Un disastro. Eppure, quando sono arrivato lì il clima era buono: «Se oggi vinciamo, si riapre tutto. E il nuovo campionato inizia a gennaio» dice uno, «Non me ne frega un c…, oggi conta vincere e basta!» fa un altro; «Dopo quanto è successo con la Juve, oggi ci danno un rigore. Se inesistente, meglio ancora» chiosa un altro ancora. Quando uno esclama «Segna Lasagna!» scoppiano tutti a ridere, io allora guardo fuori, magari si è messo a nevicare. Ztl, strade libere, allo stadio vado in Vespa (ci sarei andato comunque) con un amico, e quando raggiungo il bar di ritrovo a due passi da Piazzale Olimpia ne incontro altre di vecchie pantere: giro di birre, sigaretta, risate, abbracci e pacche sulle spalle. «Bello essere qui oggi» penso.

È ora di andare, ai cancelli un ragazzo dispensa volantini: è il comunicato della Curva Sud contro Setti. «Sembra di tornare al liceo, agli anni delle lotte studentesche, degli scioperi e di infuocate assemblee di istituto» mi fa fa col suo ghigno serafico il mio amico. Biglietto, carta di identità e siamo dentro. «Salirò, salirò tra le rose di questo giardino» sulle scale della mia adolescenza. La differenza rispetto ad allora, è che arrivi su col cuore che bussa alla gola. E vabbè, amen. A parte il sudiciume di uno stadio decadente e indegno di una città civile e moderna, stare lì dentro a quella messa pagana è bellissimo: cori, sciarpe, sventolio di bandiere. I fumogeni sono l’incenso della messa, l’eucalipto del curvaiolo che respiro a pieni polmoni, manco fosse un assaggio di Ricola: mi mancava quel profumo, che oserei dire di vittoria come il napalm del tenente colonnello William "Bill" Kilgore in Apocalypse Now, ma visto come siam messi non è il caso di azzardare tanta irriverenza e mi trattengo. Inizia la partita, e si mette pure bene col vantaggio di Verdi. L’assist glielo fornisce Lasagna, vorrai mica vedere che…. Poi, cresce lo Spezia ma sbatte contro Montipò. Ciacole all’intervallo: c’è fiducia, regna il buonumore, ma anche la consapevolezza che bisogna portarla a casa sta benedetta partita. Tutto sfuma nella ripresa, che è la fotografia nitida del malconcio Verona di questa disgraziata stagione. Sull’1-1, lanciato a rete Lasagna arriva solo davanti al portiere ma gli spara addosso. No, oggi non nevica.

Lo Spezia colpisce e seppellisce un Verona che minuto dopo minuto si smarrisce nella sua confusione. Un ragazzo, un figlio del mandorlato a sentire l’inconfondibile accento da fronte orientale, stacca lo striscione dalla ringhiera: «Non se lo meritano, ci vuole rispetto». Dagli torto, se ce la fai. Finisce come peggio non potrebbe con la contestazione al presidente. La squadra e il direttore sportivo abbozzano a venire sotto la curva, a fare che non si sa e infatti sono invitati in maniera piuttosto ortodossa a girare i tacchetti e tornarsene negli spogliatoi a capo chino. È l’epilogo. Ce ne andiamo a testa bassa pure noi col magone e la delusione stampata in faccia. Un ultimo scambio di opinioni, peraltro unanimi, al bar. Ma c’è poca voglia di parlare. La messa è finita e a casa, più che in pace, andiamo cazziati e mazziati. Per l’ennesima volta. Se, come cantava Lucio Dalla, il nuovo anno porterà una trasformazione lo sapremo a gennaio. Per ora va così, e cioè male. Molto male.

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