Trenta punti al giro di boa. Adesso lo dicono tutti: la vera sorpresa del campionato è il Verona. Tuttavia, il quesito che ci poniamo è il seguente: dopo quanto ha combinato lo scorso anno, e quanto continua a fare ora, può questa squadra essere ancora bollata come “sorpresa”? Cifre alla mano, diremmo di no. Per conferme, prego rivolgersi alle grandi del mazzo, contro le quali il Verona ha costruito quasi la metà del suo tesoretto; pari con Roma (almeno sul campo), Juve e Milan, vittorie con Atalanta, Lazio e Napoli, per un totale di 12 punti, divenuti poi 14 grazie al giudice sportivo. Solo dal confronto con l’Inter è uscito sconfitto.
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Da sorpresa a realtà, Hellas grande bellezza
E' ora di chiamare le cose col proprio nome. Vince un modo di fare calcio che ha idee
Rispetto a un anno fa, sempre stando al campo, il Verona ha raccolto due punti in più, ma ha anche fatto un gol in più e ne ha subiti tre in meno, risultando la miglior difesa della serie A con la Juve. Questi i numeri, poi ci sono i contenuti. E qui parlare di sorpresa ci pare assai riduttivo. Cambiano i musicisti, ma lo spartito è sempre lo stesso. Il Verona pratica in chiave moderna un calcio dai sapori antichi: aggressiva com’è, è una squadra che si esalta nei duelli uomo contro uomo; poco concede e quando può distendersi in avanti non ci va per il sottile e infilza. Nessun fronzolo, guai sennò. Perché con un tipo Ivan Juric mica si scherza. «Se in campo non diamo il 110%, non andiamo da nessuna parte» ha detto e ripetuto fino allo spasimo. Il suo maggior merito è aver trasmesso questo spirito ai ragazzi. E il tifoso del Verona, non aspettava altro.
Vero che Juric ha smoccolato, ha brontolato, non ci è andato leggero nella sua convinzione di avere un gruppo meno competitivo rispetto a un anno fa, ma, soprattutto per come è venuto, il 3-1 sul Napoli ha convinto anche lui: «Abbiamo fatto la più bella partita della stagione. Nella prima parte del campionato i punti li facevamo con la lotta e il sacrificio, ora siamo cresciuti nella qualità del gioco» ha detto a fine partita. E ha ragione: trovarsi sotto di un gol regalato dopo dieci secondi contro una squadra del livello del Napoli, avrebbe steso un toro; non questo Verona, che non ha perso la testa, si è messo lì a fare le cose che sa fare, ha ritrovato il bandolo, e alla fine il Napoli se lo è macinato nel tritacarne.
Ragù sulla Lasagna in arrivo, verrebbe da dire, ma soprattutto segnale di grande forza. Lo ripetiamo da settembre: sono andati via pezzi importanti, vero, ma ne sono arrivati altri di altrettanto spessore, a cominciare dal solidissimo Barak e un Tameze che poco lo vedi ma poi nella guerriglia ti spunta fuori come i vietcong nella giungla; Dimarco firma gol d’autore (persino di destro…), di Zaccagni e Silvestri può parlare Roberto Mancini, e via così. E poi ci sono i giovani, su tutti Lovato e Ilic, un predestinato che il fiuto di D’Amico ha pescato alla scuola del Manchester City, ma pure Colley e Salcedo. La rosa è ampia e ben amalgamata; se lo scorso anno il Verona avesse avuto gli infortuni che ha patito quest’anno, in campo avrebbe mandato i ragazzini. Basterebbe questo.
Tuttavia, quando leggiamo critiche, piuttosto velleitarie, secondo le quali non ci sarebbe un “progetto” ben definito (e che due palle con sti paroloni da manageroni), ma si tirerebbe a campare navigando a vista nelle acque agitate del mercato, ci viene da sorridere. Panzane.
Dopo un campionato come quello scorso, quest’anno il Verona vira a trenta punti alla fine del girone d’andata; una volta magari ti può andar bene, ma due no. Sono risultati che non si fanno per culo, scusate il francesismo, ma sono frutto di un concetto chiaro e lineare: scoprire, lanciare e capitalizzare su giovani di talento al fianco di uomini di esperienza che qui trovano linfa per rigenerarsi. Idea premiata dai numeri in campo e nei conti societari. Concedeteci che in un calcio senza più idee, è un disegno che ci convince ogni giorno di più.
Altroché sorpresa quindi, questo Verona è una bellissima realtà. È giunto il momento di dirlo.
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