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Il Verona, la salvezza e i meriti di Zanetti

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L'allenatore dell'Hellas ha raggiunto l'obiettivo con la forza di cambiare
Lorenzo Fabiano
Lorenzo Fabiano Autore 

Si sa: se vinci sei un genio, se perdi sei un babbeo. Così va il calcio, così va il mondo, così va a Verona, dove il ruspante nostromo Paolo Zanetti dopo aver portato in salvo la nave dalla tempesta (e su che nave ci sarebbe da fare un report che neanche i progettisti alla Fincantieri), un sassolino se l’è comunque tolto: «Spero di essermi guadagnato un po’ di rispetto», ha detto. Eh già, il rispetto. «In amore bisogna essere senza scrupoli, non rispettare nessuno. All'occorrenza essere capaci di andare a letto con la propria moglie» ironizzava Ennio Flaiano; e qui, sarebbe proprio il caso di andarci a letto con la propria moglie: “è un inetto”, “non è all’altezza”, “non abbiamo un allenatore”, giusto per citare solo alcune delle carinerie alle quali il povero allenatore del Verona è stato sottoposto dai soliti severi e austeri sacerdoti davanti alla corte del tribunale pallonaro.

 

Sarà, ma vai un po’ a vedere e scopri come tanto inetto il buon Paolo da Valdagno non debba poi essere, se solo il disastroso Monza ha perso più partite di noi, se solo il disastroso Monza ha beccato più gol di noi, se solo il disastroso Monza ha una differenza reti peggiore della nostra, ma alla fine della fiera il disastroso Monza è retrocesso a Pasqua e invece il Verona ha chiuso l’annata quattordicesimo, a quota 37 con ben sei punti di margine sulla terzultima. Forse ci si aspettava di salvarci prima, senza patemi; forse si pensava di fare un campionato lontano dalle zone rosse come han fatto Genoa, Udinese (il Como non lo mettiamo, perché è così ricco e ambizioso da appartenere a un’altra dimensione): tutto assai auspicabile, certo, ma i piedi bisognerebbe sulla terra e non su Marte (almeno per ora, perché pare che Elon Musk vi stia progettando delle villette a schiera per gli umani come fece a suo tempo Giorgio Mendella in Romania). Parliamoci chiaro, il Verona era poca cosa; difesa costruita strada facendo alle bell’e meglio, centrocampo che si è retto sulla personalità di Duda e il vero Serdar purtroppo l’ha visto poco, attacco più sterile di Soraya. Palla lunga e pedalare, si diceva una volta; solo che le uniche palle che venivano erano le nostre a forza di assistere a spettacoli tanto grami.

 

E allora bisognava essere quantomeno bravi, altro che inetti, a salvarla una squadra così. C’è poi un altro aspetto, e non da meno. Sentiamo pomposamente ripetere spesso come la coerenza delle idee sia un valore. Balle. Non sempre è così, a volte succede che sia meglio invece cambiarle le proprie idee. E Zanetti ne è la prova. Aveva in mente una certa idea di calcio, diciamo parecchio spavalda e spregiudicata; di fronte alle scoppole che ha preso, ha cambiato registro abbracciando la linea del buonsenso e della prudenza. I risultati piano piano sono venuti e il conto in attivo ora lo abbiamo ora davanti agli occhi. Perché saper cambiare idea nella vita, se necessario, è un merito, un segnale di forza e non di debolezza. Infine, gli attributi. Perché anche quelli contano, specie si ti trovi a remare nel fango. Ogni volta che il Verona sprofondava, e non è successo poche volte, ha sempre saputo reagire e uscire dalle sabbie mobili. E alla fine ce l’ha fatta, da solo, con le proprie forze e senza regalini altrui dell’ultima ora (semmai, i regalini dell’ultima ora qualcuno li ha fatti agli altri). Bene così. E quindi? Quindi ce ne sarebbe abbastanza per dire GRAZIE a Paolo Zanetti. Non pretendiamo si arrivi a tanto, mica è la luna ma di ‘sti tempi la gratitudine è come per Fonzie chiedere scusa, ma almeno al rispetto, quello sì. Detto ciò, fate come Flaiano, fate l’amore con vostra moglie. È l’ora dell’occorrenza.