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Il Verona non è stato costruito in un giorno

Samuel Di Carmine (foto Grigolini-Fotoexpress)

Con il Padova l'Hellas è parso in ritardo. La rivoluzione estiva esige tempo per raggiungere un'identità

Lorenzo Fabiano

Che voce Skye Edwards. Correva il luglio del 2000 quando i Morcheeba scalarono le classifiche pop di tutto il mondo con il singolo "Rome Wasn’t Built in a Day". Pezzo splendido ormai entrato nella maggiore età, ma che è sempre un piacere riascoltare così, per dare una rinfrescatina all’anima con una botta di energia positiva. È capitato a noi ieri sera all’incupito ritorno a casa dal Bentegodi dopo lo scialbo debutto in campionato. Brutta partita, in definitiva poca roba. Alla fine padovani soddisfatti e veronesi a masticare amaro.

 

Il Verona in estate ha messo in atto una rivoluzione: il reset sta nei numeri di ben 17 nuovi arrivi, più ovviamente l’allenatore.  Contro il Padova, della sciagurata scorsa stagione in campo c’erano solamente tre interpreti: Silvestri, che faceva il secondo di Nicolas, Matos, che arrivò a gennaio, e capitan Caracciolo. Dopo aver azzerato tutto e cambiato letteralmente volto, non ci vuole molto a capire che un mese e mezzo di lavoro non sia sufficiente. Il Verona ha un gran potenziale di squadra, ma ancora purtroppo non lo è. Work on Progress: al cantiere si lavora in fase di assemblaggio, ma equilibri e assetti sono ancora da trovare. Nel dopo partita Grosso ha dichiarato di non essere ancorato ad alcun schema fisso in tema di modulo di gioco. Si parte dal 4-3-3, ma non è un dogma. Bene così.

Nel grigiore, abbiamo ad esempio notato qualche scorcio di schiarita quando la squadra è passata al 4-3-1-2 con Laribi trequartista a suggerire per le due punte, prima Di Carmine e Matos, poi Di Carmine e Pazzini.  A insistere ad aggirare dalle corsie esterne il muro della difesa a cinque, e ne troveremo parecchie, si rischia di finire intrappolati in un vicolo cieco. Meglio quindi cercare l’imbucata giusta per gli attaccanti affidandosi a chi dispone di fantasia e piedi sapienti. E Laribi li ha. Buono l’approccio del Pazzo, tardivo il suo ingresso. Ma da qui a rispolverare il tormentone ce ne corre. Grosso è stato chiarissimo sin dal primo giorno con lui: la prima punta è Di Carmine, giocatore che il Verona ha fortemente voluto e sul quale ha investito. Insieme li vedremo poco.

Ciò nonostante, Pazzo ha accettato il diktat e si è messo di buona lena. Tutti utili, nessuno indispensabile. Ancora lontano da una precisa identità e in palese ritardo di condizione rispetto ai biancoscudati di Bisoli, il Verona ha cercato invano la quadra. Non l’ha mai trovata. Di Carmine si è mosso poco, ma è pure vero che non gli è arrivato un solo pallone; in regia Colombatto ha mostrato la stoffa, ma deve ora lavorare sulla sartoria; Ragusa è sembrato un corpo estraneo, dalla cornamusa di Henderson sono uscite solo note stonate. Decisamente meglio nel secondo tempo grazie agli ingressi di Gustafson e Zaccagni (bentornato!).

Nemmeno la difesa ha brillato: grave la pennichella di Marrone sul pareggio di Ravanelli. Una squadra è fatta di condivisione, dialogo, e partecipazione. Il Verona attuale parla ancora troppe lingue diverse. Diamogli allora il tempo di apprendere la grammatica di un linguaggio comune. Il potenziale c’è tutto. Sabato ci attende un’insidiosissima trasferta a Cosenza (ottimo debutto a Ascoli), poi avremo la sosta. Alla ripresa, al Bentegodi arriverà il Carpi, ieri fatto polpette a Foggia. Forse lì qualcosa di più già vedremo. Ripetiamo, serve tempo. Don’t you know that Rome wasn’t built in a day…?

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