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La “piazza pulita” che ha cancellato il Verona. Setti, perché non vendere?

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Il risultato della smobilitazione è evidente, bisogna recuperare lo spirito perduto per evitare un lungo calvario

Lorenzo Fabiano

Il Bentegodi è terra di conquista, in una settimana De Laurentiis junior infila la quaterna col Bari in Coppa Italia, e alla prima di campionato senior fa cinquina col Napoli, tombola!

Di fronte al Verona che va a picco il sigaro di Setti è amarissimo, e un Ferragosto peggiore il tifoso gialloblù non lo poteva vivere. Poco o nulla da dire, semmai tanto da fare, verrebbe da dire in situazioni come queste, e invece qualcosa da dire c’è, e parecchio. Avremmo preferito attendere la fine del mercato per battere i tasti (disputare quattro partite a trattative aperte è un’ingiuria che meriterebbe una class action dei tanti tifosi che hanno sottoscritto gli abbonamenti a scatola chiusa), ma di fronte allo scempio al quale abbiamo assistito non è possibile tacere.

«Lorenzo, non capisco cosa stia succedendo, sono basito» ci scrive Francesco, amico affranto; non vorremmo peccare di presunzione ma quello che è successo è abbastanza chiaro. Il Verona pugnace col coltello tra i denti che abbiamo ammirato in questi ultimi tre anni non esiste più. Lo si era capito in quell’intervista che un paio di mesi fa il presidente Setti aveva rilasciato sugli schermi di Telenuovo: «Più di così non posso fare, anzi, sono andato oltre» disse. Parole che certo non presagivano rosei orizzonti. Che qualche pezzo pregiato della rosa fosse sacrificato sull’altare dei libri contabili era nelle cose, che attorno al Verona si creasse aria di smobilitazione no. Giocatori (Caprari non era incedibile?), allenatore, direttore sportivo, responsabile comunicazione. Una piazza pulita.

Tra tutte, la partenza di Tony D’Amico è stata la più pesante da digerire: uomo di campo, «Noodles» era un collante tra squadra e società. Una sigaretta dopo l’altra, un urlaccio dopo l’altro, teneva lo spogliatoio in pugno, e la truppa sulla corda. Coi ragazzi c’era fiducia reciproca. Non era un loquacione, ma le parole giuste le sapeva tirar fuori nei momenti opportuni. Ora quel collante non c’è più. D’Amico a Verona stava benissimo e sarebbe rimasto più che volentieri, è andato via perché le condizioni per portare avanti il lavoro come lo concepiva lui, erano venute meno. Troppo scomodo.

Francesco Marroccu è di tutt’altro profilo: in linea con la società è un manager chiamato a muoversi sul mercato in totale rispetto delle esigenze aziendali. Ed è esattamente ciò che sta facendo. Un pezzo alla volta è stata però smontata una macchina che era perfetta in ogni suo ingranaggio, e il campo presenta ora il conto. Verdetto inesorabile: un allenatore che pare predicare nel deserto, una squadra svuotata di quell’energia arrembante che le conoscevamo, colonne portanti ora irriconoscibili fantasmi che vagano sui ciuffi d’erba senza un perché (Ilic e Tameze, giusto per non far nomi), altri che vivono nella zona grigia dell’ enigma in attesa di conoscere il proprio destino (Barak).

Laddove in questi tre anni avrebbe trovato tanto traffico, il Napoli ha potuto lanciarsi in un’autostrada sgombera quanto la Bre-Be-Mi. Il Verona? Undici gattini in tangenziale. Nei giorni belli la sua forza stava nello spirito Salgariano dei tigrotti di Mompracem. Lo ha perduto. Sarà bene recuperarlo, e alla svelta se non vogliamo che questa stagione si trasformi in un lungo calvario.

Dopo la disfatta, Cioffi ha usato parole tanto lucide e oneste, quanto inequivocabili: ha chiesto rinforzi e chiarezza. Ora tocca a chi di dovere dare risposte. Un’ultima considerazione, quando in quella intervista di prima estate Gianluca Vighini chiese a Setti: «Presidente, ma se le offrissero 100 milioni lei venderebbe il Verona?», la replica fu secca e sdegnata: «Per quella cifra non mi siedo neanche al tavolo. Il Verona vale molto di più». Proprio sicuro presidente? Guardi che l’autunno è vicino e pare porterà giorni grami. Non solo sui campi di calcio, purtroppo. Un consiglio bonario e spassionato, allora ce lo consenta: ci ripensi.

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