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Verona, dove sei finito?

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L'Hellas è irriconoscibile. I tanti guai di una squadra che deve ritrovare l'anima

Lorenzo Fabiano

Una brutta fazenda, direbbe Beruscão al Drive In. Alla prima sosta della stagione il Verona ha 5 miseri punti, frutto di due pareggi e una vittoria. Poco, diciamo la verità. Dietro ha solo Monza, che però ieri ha fatto il botto sculacciando la supponente Madama, e due armate spuntate come Sampdoria e Cremonese. I nodi, fatti in estate, vengono al pettine. Per carità, siamo solo all’inizio di una tribolata stagione che si chiuderà a giugno del prossimo anno (pregasi ringraziare la Fifa e il suo mondiale corrotto sulle sabbie dei petrodollari), ma la situazione è la fotografia di quello che il campo, l’unico che alla fine conta, e un mercato estivo trascorso sulle montagne russe hanno detto. Siamo onesti: questi siamo e sarà durissima sfangarla quest’anno. Va così.

 

Un amico collega di Roma mi chiede: «Lorè, ma che sta a succede all’Hellas? È irriconoscibile, dov’è finito?». Ingoio un Maaalox e provo a spiegarglielo. Qui. No, il Verona non è più quello degli ultimi tre anni, quello che mordeva, azzannava e incantava. Svanito in una commedia, assai poco sexy, di mezza estate. Aveva una matrice Salgariana, il marchio di fabbrica delle Tigri di Mompracem. Copyright firmato Ivan Juric; Eusebio Di Francesco non l’aveva ben capito, il centurione Igor Tudor sì, sin dal primo giorno, e si è visto. Che bellezza, poi però arriva l’estate e Setti che ti fa? Un ribaltone. Via tutti, un repulisti: di solito le rivoluzioni hanno un ideale alla radice, ma qui le ragioni fornite sin qua non appaiono un granché solide né tantomeno convincenti: il ds Marroccu si sgola a parlare di ragioni di bilancio, ammortamenti pesanti, la sostenibilità del club da mettere in sicurezza (ma come, non ci è sempre stato detto che le casse erano sane? Boh). Fatto sta, che il mercato è stato fatto all’insegna della confusione, con rammendi in Zona Cesarini (anche buoni, per carità). Che Casale, Simeone e Barak andassero via, lo si sapeva dalla notte dei tempi. Che se ne andassero pure Caprari e Cancellieri (senza Barak, sono convinto sarebbe stata la sua stagione), no.

 

Al suo arrivo, il povero Cioffi ha trovato un gruppo, sta ora lavorando su un altro girato come un calzino. La sua attenuante è questa, ma non basta per farne un alibi perché la realtà di questi primi mesi di lavoro evidenzia come la guida tecnica non sia ancora stata in grado di dare alla squadra un’idea precisa di calcio. Quella che era Juric prima, e di Tudor poi, non c’è più. Ed è ora Cioffi a dovergliela dare. E alla svelta se non vogliamo vedere gli spettri. Il Verona è timido, spaurito, in mezzo non costruisce gioco, in avanti è sterile e dietro balla da paura. Detto che l’allenatore con alcune scelte cervellotiche ci mette ampiamente del suo, bisogna pure dire che più di una colonna del recente passato non regge: giusto per fare un esempio, dov’è finito il Tameze Tremal Naik? È rimasto accovacciato impigrito nella foresta. Vogliamo credere che colui che vediamo adesso debba essere suo cugino. Ora arriva la sosta, benedetta. Cioffi ha due settimane per poter amalgamare e dare spina dorsale al gruppo, trovare la quadra e ridarci il Verona che eravamo abituati a vedere, con quella stessa anima, con quella stessa Garra. Non ci dovesse riuscire, pagherà fatalmente lui, l’unico che la rivoluzione non l’ha voluta. Sarebbe un film già visto, ma il calcio conosce solo un finale: quello lì.

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