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Faccini, il veronese nell’Avellino il giorno dello Scudetto

Lorenzo Fabiano

Segnò un gol il 19 maggio 1985: "Era destino, io da sempre tifoso dell'Hellas, nato a San Bernardino"

Verona-Avellino, bei ricordi. La domenica del 19 maggio del 1985, nel giorno della grande festa dello scudetto gialloblù, c’era un solo veronese in campo. Vestiva la maglia numero 11 dell’Avellino e giocava in attacco a fianco del puntèro triste Ramòn Diaz. Era Alberto Faccini, classe 1961, butèl cresciuto a pallone, pane,  e salame  tra le vie e i cortili di San Bernardino a San Zeno. Quel pomeriggio fece pure gol sotto la Sud, quella che negli anni dell’adolescenza era sta la “sua” curva. Dopo aver segnato si rivolse in segno di affettuoso saluto verso gli amici di sempre che stavano tra le Brigate. Molti capirono, e applaudirono. Altri no, e non gli dedicarono carinerie: “ Ma per forza! - ride - Soprattutto i più giovani non sapevano nemmeno chi ero”. Quel gol e quel saluto, furono  il modo più bello per prendere parte al giorno più grande della storia del Verona: “Mio padre era vicepresidente del Centro Coordinamento: mi portò al Bentegodi sin da piccolo. Ricordo che andammo persino nel giorno della mia prima comunione. Poi cominciai a frequentare la Curva Sud con gli amici di San Bernardino. Avevamo un nostro gruppo, i Boys. Facevamo la raccolta della carta per racimolare qualche spicciolo e comprarci i tamburi. Fare gol quel giorno, nello stadio dove ero cresciuto, fu una grande soddisfazione per me. La maglia  della partita (nella foto) la regalai al “Biri” Lonardi, un amico fraterno. Alla sera ero con lui a festeggiare in Bra. Ricordo Galderisi che cantava. Certe emozioni te le porti dietro tutta la vita”.

Tu, cuore Hellas, non vestisti mai la maglia del Verona. Perché?

Giocavo nel San Zeno. “La Busa” era la mia casa. Arrigo Ligabò detto “Molena” era l’anima della società. Vi fu un interessamento della Roma. Il San Zeno viveva grazie ai quattrini che riusciva ad incassare dalla vendita di qualche sua giovane promessa. Si fece sotto anche il Verona, ma arrivò tardi e non offrì quanto il club giallorosso. “Molena” e il presidente Olivato accettarono l’offerta. Così a 14 anni feci fagotto e andai a Roma

Da San Bernardino a Trastevere…

Lasciare famiglia e amici fu molto dura. Stavo al convitto di Ostia. 

La tua storia è imprescindibile dai colori giallorossi

La Roma nella mia carriera ha rappresentato tutto. Ho vinto un Viareggio, una Coppa Italia, lo storico scudetto dell’83. Con la maglia della Roma ho segnato il mio primo gol in serie A e ho avuto la fortuna di giocare con grandi campioni da cui ho imparato molto. Il mio cuore non può che essere per metà gialloblù e  per metà giallorosso. 

Dopo gli anni romanisti, girasti in lungo e in largo l’Italia. Fosti mai vicino al Verona?

In realtà l’anno in cui si parlò di un mio possibile trasferimento all’Hellas, fu proprio nella stagione della scudetto. Ero reduce da un buon campionato a San Benedetto del Tronto. Non se ne fece nulla. Il Verona ingaggiò Franco Turchetta. Mi proposero di prendere il suo posto a Varese, ma rifiutai e accettai la proposta dell’Avellino. C’erano ottimi giocatori come Ramòn Diaz, Geronimo Barbadillo, Franco Colomba, un giovane emergente come Nando De Napoli. L’allenatore era Angelillo. Ci salvammo con tre punti di margine sull’Ascoli. 

Oggi sei stimato procuratore e talent scout. Un giudizio sul Verona e sul mercato?

Il Verona è forte, le aspettative  sono tante, ma ha bisogno di un po’ di tempo. Il mercato è stato positivo. Sono rimasti giocatori importanti, altri ne sono venuti. L’attacco è ottimo: Pazzini è rimasto; è arrivato Ganz. Il centrocampo è il migliore della categoria: Bessa a Verona può trovare l’ambiente ideale per il balzo definitivo. Romulo è un lusso per la B. La difesa è al momento il reparto che convince meno: va valutata col tempo. Il centrocampo è però talmente forte da farle da scudo attraverso il possesso e un atteggiamento propositivo. 

Dopo la sconfitta di Benevento si sentono i primi mugugni. 

Normale. Sul Verona c’é pressione perché è considerata la regina del campionato. La squadra è tornata con un solo punto dalle due trasferte campane. Un po’ poco. Domenica con l’Avellino deve solo vincere.

A Verona torni spesso?

Almeno una volta al  mese. Mia made e mia sorella vivono lì, e poi è sempre bello ritrovare i vecchi amici. 

La maglia indossata da Faccini in Verona-Avellino 4-2, il 19 maggio 1985