gazzanet

C’è la siccità? Colpa di Pecchia

Il tecnico del Verona tra cori e striscioni: ce la si prende con lui i anche quando il Verona gioca bene

Lorenzo Fabiano

Vi chiedo una cortesia: trovatemi chi ha detto che il tempo è galantuomo, perché col Verona non si sta dimostrando nient'altro che un farabutto. Avrei infatti più di qualcosina da obiettargli. La squadra è in salute, ha trovato finalmente una sua quadratura, ma non raccoglie nulla. Tre prestazioni egregie, zero punti. Qualcosa non torna. Ieri sera per lunghi tratti ha messo alle corde l'Inter: sempre corta e compatta, si è fatta apprezzare per intensità e aggressività con cui rubava palla ai portatori del socratico Spalletti e ripartiva verso Handanovic. Cerci, finalmente quello vero e non il cugino intravisto negli ultimi due anni, è stato una costante spina nel fianco della retroguardia interista. I suoi piedi fatati, e la leggiadra eleganza della sua corsa hanno seminato panico, il rigore che si è guadagnato e scaturito nel meritato momentaneo pareggio realizzato dal freddo Pazzini, è stato il giusto riconoscimento a una prestazione importante. La stangata di Perisic ha spento ogni sogno. Una punizione troppo severa per il Verona o, comunque la si voglia leggere, un premio oltremodo generoso per i nerazzurri, ieri a dire il vero piuttosto sottotono. Un Verona da applausi, ma ancora a bocca asciutta e amara nel retrogusto.

 

Risultato a parte, la nota stonata è l'atteggiamento che una cospicua fetta del pubblico continua a mostrare nei confronti dell'allenatore gialloblù. È la storia di un rapporto mai decollato, e frenato per molti suoi aspetti dalla prevenzione. Eccola allora la cronaca di una serata difficile in campo e sulle tribune: per l'ennesima volta Fabio Pecchia è oggetto di contestazione colorita d'insulti. Con il Verona in avanti alla ricerca del pari, qualcuno non trova di meglio che scagliarsi contro di lui. Lo invitano ad andarsene con la forza dell'ugola e, se non fosse abbastanza, con  l'esposizione di uno striscione sin troppo eloquente. Alla lettura delle formazioni, il suo nome è subissato di fischi e ricoperto dei peggiori epiteti collegati alla sua carta d'identità. Un collega di Milano che sta a mio fianco mi chiede: "perché ce l'hanno con lui?". "Lasciare fuori Pazzini è lesa maestà. Diciamo che come puoi vedere non lo amano, ma lui ci mette pure del suo" è il mio understatement. A partita in corso mi strattona per dirmi: "è la prima volta che vedo il Verona. Gioca davvero bene ed è ben messo in campo. Meriterebbe una classifica diversa".

 

Dietro di noi, dall'anello superiore spunta però un energumeno che in preda al demonio  lancia i suoi strali su Pecchia. Più che un visigoto è un viso-da-goto sul quale gli effetti collaterali hanno preso il sopravvento. Ce l'ha con i cronisti di Sky, Marchegiani e Compagnoni, li invita (eufemismo) a parlar male e denunciare le malefatte di Pecchia, il colpevole di ogni che. Se piove la colpa è del governo, ma la siccità è da imputare a Pecchia. A questo siamo arrivati. Finisce la partita, il Verona si piega con l'onore delle armi. Il mio nuovo amico meneghino comprende il mio stato d'animo e mi saluta con un rincuoro: "vedrai che se giocate così, vi salvate di sicuro".Come se non bastasse, Spalletti, che in sala stampa tiene il consueto sermone a La Sapienza, ha parole di stima per il grande accusato: "non vi piace Pecchia? Sappiate che se va via da qui, andrà ad allenare altrove. Perché lui ha il timbro dell'allenatore nel DNA, è un uomo serio e preparato. È giovane, dategli tempo, vi porterà fuori da questa situazione".

 

Altro non aggiungo, la mia posizione ben la conoscete. Consentitemi tuttavia una sola cosa: la frattura tra allenatore e buona parte della tifoseria se non è insanabile, poco ci manca. Siamo al muro contro muro. Cerchiamo allora di recuperare tutti un po' di buon senso, stampa compresa. Un passo indietro non guasterebbe. Il catapecchismo imperversa ormai su ogni fronte, dalla curva alle tastiere. Criticare e contestare a prescindere Fabio Pecchia, anche di fronte a una bella prestazione della squadra, è un refrain senza il dono dell'obiettività. Se alla radice qualche motivazione può essere condivisibile, mantenere la barra a dritta dell'onestà intellettuale è un dovere etico oltre che  deontologico. Il bene del Verona viene prima di tutto. È giunta l'ora di dimostrarlo con una prova di maturità di tutte le parti in causa. La strada è ancora molto lunga; uniti, possiamo farcela. Divisi, no.

Potresti esserti perso