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Ci si abbraccia per ritrovarsi interi

La tempesta non è finita, ma il Verona non si è ancora arreso

Lorenzo Fabiano

“Ci si abbraccia per ritrovarsi interi.” Lo ha scritto Alda Merini. Quel che più resta dei pomeriggio di Firenze è l’abbraccio finale tra la squadra e il suo allenatore. Sulle rive dell’Arno il Verona vi era arrivato a pezzi, lacerato nell’anima e nel cuore, allo sbando, con zero credito e un piede e mezzo nel baratro. Il catino del Franchi avrebbe dovuto rappresentare la certificazione dello sfascio. Il calcio è però la più imponderabile e inesatta delle scienze, una regata velica che si decide a seconda di come gira il vento. Domenica scorsa erano stati i tifosi gialloblù ad abbandonare il Bentegodi in segno di plateale protesta; questa volta è toccato agli amici viola. Anche nelle sventure un sodalizio d’acciaio, non c’è che dire. A Firenze, quando nessuno ci credeva più, il Verona rimette insieme i cocci. Nemmeno l’Oracolo di Delfi avrebbe potuto predirlo. Vai un po’ a capirci qualcosa.

 

I problemi ovviamente rimangono; sia ben inteso, la situazione è a dir poco critica e deficitaria, ma quell’abbraccio va ben oltre il festeggiamento per un risultato positivo. Se mai ce ne fosse bisogno, è la prova che il gruppo sta con Fabio Pecchia e insieme a lui vuole provarci fino alla fine. Ieri pomeriggio ne abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione. L’unità d’intenti è l’essenza di un gruppo che aspira a definirsi tale. Qui c’è solo da rimboccarsi le maniche, sudare, ingoiare polvere, e sputare sangue. Spazio per sbuffi d’insofferenza e malumori non ce n’è. Da qui a mercoledì, alla fine del mercato, chi non se la sente è cortesemente invitato ad accomodarsi alla porta con il trolley. Arrivederci e grazie, così…senza tanti discorsi e convenevoli di maniera. Il calcio nei bassifondi della classifica è lo street food unto e bisunto di Chef Rubio, mica cucina stellata da fighetti.

 

Segnali positivi vengono dai nuovi (Vukovic solido dietro e addirittura goleador davanti; molto bene Petkovic e Matos), dalla doppietta e dalle incursioni del teenager Kean, e da un Romulo anima e core che, avuta la fascia di capitano, si è assunto fino in fondo la responsabilità di leader onorandola con una prestazione maiuscola che sulle tribune del Franchi ha suscitato tanti rimpianti in chi a suo tempo non credette abbastanza in lui. Buon per noi.

 

Il Verona è insomma vivo. A dispetto di quanto si è detto e scritto, Pecchia ha la squadra dalla sua e governa lo spogliatoio. Se il presidente Setti non lo ha allontanato, è perché ne è consapevole, nutre fiducia in lui e ne ha stima. Ci auguriamo che almeno su questo, ci si possa trovare tutti d’accordo e si deponga l’ascia di guerra. Il cammino è tutto in salita: abbiamo superato uno strappo, ma ad attenderci c’è una lunga ascesa che ci rimanda agli aspri e ruvidi tornanti che rendono unico lo scenario dei Pirenei al Tour de France. Firenze ci ha restituito un gruppo che perlomeno non cede alla paura di affrontarli, perché nello sport si vince e si perde, ma la dignità di uomini è il primo dei valori da difendere ad ogni costo per meritarsi rispetto. La gente genuina del Verona ogni tanto si farà anche un po’ prendere la mano, ma in fondo non chiede che questo. No, non è la luna, ma solo un grido d'orgoglio. Intanto proviamoci a scalarla questa maledetta salitaccia, tutti insieme. L’unità è sempre stata la forza di questo ambiente, il vero valore aggiunto che ha consentito nei giorni più bui alla comunità dell’Hellas Verona di non sparire. Il tempo delle divisioni è finito. Quei versi di Alda Merini suonano bene anche per noi.

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