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Gli esami del Verona sono già (ri)cominciati

Foto Grigolini-Fotoexpress

L'aria che tira a Primiero, l'arrivo di Grosso, con D'Amico, e il bisogno di costruire un altro Hellas

Lorenzo Fabiano

Nella giornata di Primiero, la prima cosa che ci colpisce è il candore ai limiti dell’ingenuo con cui la proprietaria del ristorante dove pranziamo nel centro della località all’ombra delle Pale di San Martino ci chiede smarrita con l’inconfondibile cadenza trentina: «Ma che è successo a Verona? Lo scorso anno i Veronesi salirono in massa. Non c’era una camera libera, la birra scorreva a fiumi tanto che i fusti non bastavano, e invece quest’anno non si vede nessuno». Cara signora, questo è il calcio, questo è l’inevitabile effetto di una dolorosissima retrocessione che ha prodotto siccità nel sentimento popolare. Detto questo, si ricomincia.

Il chiacchiericcio del calcio estivo ci appassiona più o meno quanto lo sfoglio di Novella 2000 mentre aspettiamo il nostro turno sotto la tortura del dentista. La questione degli abbonamenti invece un po’ ci prende, visto che il Verona lo seguiamo da almeno 45 anni. Ne abbiamo viste di ogni, vissuto umiliazioni (sin troppe per elencarle tutte), ma nulla è mai stato più forte dall’alienarci l'affetto per i colori gialloblù. Ognuno è libero di pensarla e comportarsi come vuole, e ci mancherebbe pure altro, ma il Verona è qualcosa che si ama a prescindere. Puoi cambiare la fidanzata, persino la moglie, puoi rivedere le tue posizioni politiche e passare da un partito all’altro, ma la squadra del cuore non l’abbandoni mai, nemmeno quando ti fa incazzare così tanto che la manderesti alla malora una volta per tutte. Una delle più belle che abbiamo sentito sul calcio, è che sia l’unica religione a non aver atei. Niente di più vero.

Anche noi che siamo chiamati a raccontare e descrivere le vicende del pallone, siamo giunti all’epilogo dell’infausta ultima stagione come pugili suonati sul ring. Pregavamo che qualcuno ci venisse in soccorso lanciandoci l’asciugamano dall’angolo. Nessuno lo ha fatto, e abbiamo quindi dovuto subire il martirio fino all’ultima ripresa. Abbiamo attraversato il deserto dell’atarassia almeno fino a ieri, quando siamo saliti a Primiero per fare la conoscenza di Fabio Grosso. Ha un lavoro molto difficile, e lo sa bene, ma l’uomo è molto determinato e convinto della sua scelta. Lo ha ribadito a chiare lettere. D’altronde, uno che dodici estati fa a Berlino si prese la briga di tirare un calcio di rigore per l’iride, è quantomeno ovvio che non difetti di attributi. Il primo compito sarà sgomberare le macerie e cercare di rimettere - come disse Rudi Garcia dopo un derby capitolino vinto - la chiesa al centro del villaggio. Saranno serietà, impegno, e risultati a riavvicinare il Verona alla sua gente. Altri modi, sono a noi del tutto sconosciuti.

Il Verona ha voluto Grosso, Grosso ha voluto il Verona. Perlomeno il matrimonio nasce su basi di solido sodalizio. C’è pure la storia dell’amico ritrovato: a vent’anni di distanza, quando i due giocavano insieme a Chieti, Fabio Grosso riabbraccia Tony D’Amico (ieri seduto al suo fianco per la prima uscita ufficiale davanti alla stampa), neo direttore sportivo. In un modo o nell’altro entrambi sono ad uno snodo cruciale per le rispettive carriere: esami per l'uno in panchina e l’altro alla scrivania. Mentre l’allenatore forgia il gruppo e dà un’impronta alla squadra trasmettendo concetti, il ds non fa annunci né proclami, ma in un succinto discorso mette in chiaro che «La maglia del Verona la vestiranno solo uomini convinti di farlo. Nessuno concessione ai “se” né tanto meno ai “ma”». Qualcosa sul mercato D’Amico ha già fatto e qualcosa ancora farà. Il Verona è un puzzle, c’è tempo per completarlo. I voti siamo soliti darli a esami finiti, non prima. Di questo parleremo quindi a tempo debito, a trattative chiuse. Ora ci preme altro. È tutto ancora prematuro e in divenire. Poi si vedrà. In fondo non ci vuole molto a scaldarlo questo vecchio cuore gialloblù. È la solita storia. Malgrado tutto.

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