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Grazie, Tony

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D'Amico lascia il Verona, se ne va un uomo che ha dato tutto all'Hellas

Lorenzo Fabiano

Che ci volete fare, ci piace ancora dire GRAZIE. In un mondo che concede più spazio a lingua e muscoli piuttosto che al cuore, la gratitudine sembra qualcosa di desueto appartenere al passato, come un foulard di Hermès. Il mondo corre e va troppo veloce per fermarsi un attimo per ste robe da vecchi tromboni e debolezze simili. E chi se ne frega: siccome gli annetti passano e romantici, almeno in questioni di pallone, lo siamo e lo rivendichiamo pure, ecco che il tempo per fermarci a dire GRAZIE ce lo prendiamo.

Ci rivolgiamo a Tony D’Amico, l’uomo del silenzio e dei coni d’ombra, al quale quattro anni fa nella più assoluta diffidenza (chiaro eufemismo) il presidente Setti affidò il ruolo di direttore sportivo e che oggi la stragrande maggioranza dei tifosi del Verona applaude e saluta il suo distacco con comprensibile dispiacere. Al Verona era arrivato nel 2016, come  capo scouting, ce lo aveva messo Filippo Fusco, il suo mentore già a Foggia da calciatore e quindi al suo fianco a Bologna alla scrivania. Il giovane Tony apprese i segreti del mestiere con umiltà e dedizione: sempre un passo indietro fedele al rispetto e alla massima discrezione. Poi il grande salto. In quell’estate del 2018 gli toccò l’onere di ricostruire una squadra appena malamente retrocessa. «Al Verona vogliamo solo giocatori convinti di vestire questa maglia, senza “se” e senza “ma”. Chi non è convinto, si accomodi pure» furono le sue prime parole al ritiro sotto le Pale di San Martino che non fecero troppa breccia nell’ambiente.

Quella malcapitata retrocessione aveva creato attorno al Verona un muro di gomma di pessimismo cosmico. Empatia zero, entusiasmo ancora meno. Provavi a predicare qualcos’altro e se andava bene ti prendevano per un mezzo scemo. Al buon Tony andò anche peggio, certi epiteti sono irripetibili. Non iniziò benissimo, la squadra che aveva messo insieme era forte, ma la scelta del nocchiero si rivelò infelice. D’Amico prese un «Grosso» granchio. Alla fine il Verona acciuffò la serie A in quel drammatico playoff col Cittadella e Alfredo Aglietti, per il quale D’Amico non stravedeva, divenne l’eroe e il salvatore della patria. Quando non lo riconfermò, si beccò critiche (altro eufemismo) feroci: per il futuro aveva già fatto la sua scelta e in quel matto di Ivan Juric aveva individuato l’uomo giusto. Almeno per lui, perché a Verona il partito degli settici e degli incazzati faceva registrare maggioranze bulgare. Sappiamo com’è andata.

Ci aveva visto giusto Tony, aria sveglia, smilzo come un pesce azzurro dell’Adriatico, sigaretta in bocca e brillantina che Bob De Niro nei panni di “Noodles” in “C’era una volta in America”; ma anche fumantino, e parecchio, come quando in una sala stampa esterrefatta perse letteralmente le staffe con un giornalista locale, salvo poi ravvedersi e chiedergli scusa. Al gran ballo delle plusvalenze, quelle vere, ha fatto del Verona una reginetta facendo indossare lo smoking a Setti come primo invitato. Ci ha fatto ballare più e meglio di quell’altro Tony, Manero. La febbre il suo Verona ce l’ha fatta venire sette giorni su sette, mica solo il sabato sera. Poche interviste e tanto campo, fatti e non parole il Tony de noaltri, come tanto piace a noi. Ha lanciato giovani, ha pescato gente che per altri erano “scarti” e che qui si sono rigenerati: cosa che in passato il Verona lo ricoprì di gloria. Aveva trovato la quadra “Noodles”. Con la partenza del tigrotto spalatino, si era trovato dinanzi a un altro bivio; persa la scommessa Di Francesco, ha avuto la forza e l’umiltà di dire «Scusate, ho sbagliato». Nell’epoca degli infallibili e di quella colossale panzana che chiamano «progetto» (Che diavolo vuoi progettare attorno a un pallone che i destini li traccia a seconda di come rotola e gira), un messaggio di straordinaria potenza umanista. Perché sbagliare si può.

Ha corretto il tiro in tempo, rimessa la barra a dritta e con il corazziere Igor dei Tudor il Verona ha fatto un campionato sul quale Rino Tommasi metterebbe un bel circoletto rosso. Ci siamo divertiti tre anni e la barca delle plusvalenze veleggia con lo spinnaker spiegato. Ora se ne va, e il capitale umano che lascia sul campo è tanta, ma proprio tanta roba. Gli hanno chiesto salvezze tranquille, che il Verona ha raggiunto per tre anni di fila già all’Epifania con oro, incenso e mirra (per noi birra a boccali). Non conosciamo le ragioni del divorzio, le possiamo solo immaginare, tanto presto sapremo se gli indizi saranno una prova (speriamo di sbagliarci); si vedrà. Intanto, lasciateci dire che ci dispiace perché il Verona perde una persona seria, capace, umile e onesta. Uno vero, e un gran lavoratore. Non possiamo che auguragli tutte le fortune del mondo: ciao Noodles, è stato bello lavorare con te ed è per questo che ti vogliamo dire GRAZIE. Perché tu ora svolti, ma quello che hai fatto per noi resta. Chi viene e chi va, così è la vita. Che dici, ce la facciamo una sigaretta adesso?

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