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Grosso, il Verona e le Cassandre. In Laguna vietato affondare

Turnover eccessivo del mister? A Venezia per rimettersi in piedi

Lorenzo Fabiano

Scorrono i titoli di coda del disaster movie: due partite, due sconfitte, zero punti, zero gol. Se il primo tonfo a Salerno ha avuto gli effetti di una pizzicata con l’aghetto Pic Indolor, il secondo ha decisamente lasciato il segno. Si sono aperti squarci di pessimismo così cosmico, che Schopenhauer al confronto alle nostre Cassandre era un allegrone che ne raccontava più di Gino Bramieri. Dal sereno la lancetta del barometro ha virato sui nuvoloni.

Diciamola tutta: Grosso contro il Lecce non l’ha affatto letta bene: senza un motivo plausibile ha fatto ricorso ad un ampio turnover (una delle maledizioni del calcio moderno), ha cambiato assetto soffocando Colombatto a fianco del fante polacco Dawidowicz, stravolto equilibri, e infine, quando almeno poteva ancora porre rimedio in corsa, ha cannato i cambi. Di Carmine, annunciato sia pur per uno scampolo di partita il giorno prima in conferenza stampa, è rimasto in panca tutta sera. Insomma il buon Fabio ci ha messo del suo. Tuttavia, nel primo tempo la squadra non è dispiaciuta, ha costruito molto e avrebbe certamente meritato qualcosina di più. Semmai è nella seconda parte di gara che si è smarrita, ed è andata in confusione sino a sfaldarsi.

Alla sbarra è finito l’allenatore. E chi sennò? Processo inevitabile ma condanna prematura da giustizia sommaria, non credete? Diamogli almeno un po’ di tempo a questo povero cristo di trovare la benedetta quadra. Da più parti gli si imputa di ripetere a Verona gli stessi errori di Bari (senza però tener conto delle condizioni d’indigenza e schizofrenia in cui lavorava): scolastico, dottrinale, buonista, noioso, e avvezzo alle girandole in fatto di formazioni. Certo se quando ci mette la faccia uscisse un tantino dalle gabbie impiegatizie e prefabbricate del Politically Correct, non sarebbe male, ma mica possiamo permetterci di crocifiggere uno perché è troppo educato, no? E chi siamo noi scrivani per reclamare un simile diritto? Nessuno, assolutamente nessuno. Lungi da noi quindi criticare gli aspetti caratteriali e umani delle persone, soprattutto se sono perbene. Ci atteniamo ai fatti, limitandoci ad osservare e commentare ciò che vediamo su un rettangolo d’erba. Il resto non è affar, né tantomeno diritto nostro.

Chiarito questo punto, veniamo al sodo: il Verona è inciampato e ora si deve rimettere in piedi. A Fabio Grosso l’onere di riuscirci. Come? L’allenatore è lui ed è nei momenti difficili che uno dimostra di saperci fare. Siccome per amore del Verona proprio a tacere non ce la facciamo, ci prendiamo la liceità di dargli un consiglio. Ci auguriamo innanzitutto che la lezione patita col Lecce sia servita. In futuro, Grosso con interscambi e rotazioni di pedine ci vada meno disinvolto e sia cauto nei dosaggi. Possono rivelarsi un’arma a doppio taglio, e infatti siamo qui da una settimana con le garze sui punti di sutura a leccarci le ferite. Una squadra è fatta di un nucleo, di uno zoccolo duro, di un blocco. È un’anima che va individuata e fortificata. Esistono quindi i corollari e in ultima istanza le alternative. Un tempo, con le rose limitate in rapporto al numero di partite, i mazzi da cui pescare le carte erano divisi in titolari e riserve. Poche storie, e tanta chiarezza. Funzionava così. Si facevano delle scelte e si portavano avanti aggiustando il tiro strada facendo, senza mai intaccare il cuore dell'idea. Vero che i tempi sono cambiati, ma tutto sommato crediamo che quella sia ancora una buona norma nella gestione di un gruppo. Detto questo, siamo convinti che al Verona serva un po’ più cattiveria e un po’ meno turnover. Vanno fatte scelte precise, nette. Serve insomma una spina dorsale. A cominciare da domenica prossima in laguna. Diversamente, rischieremmo di trovarci a che fare con una brutta faccenda. E non ne abbiamo alcuna voglia.

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