Piede mancino, morbido e ben educato, personalità e carattere di un giovane leader. Ha 21 anni, è appena arrivato, eppure le movenze son quelle di un veterano. Chiama palla Santiago Colombatto, la reclama con insistenza per distribuirla nel traffico. Quando ce l’hanno invece gli avversari ringhia e si fa sotto. Ha fame di calcio questo ragazzo venuto da Cordoba, che un po’ è la Milano d’Argentina. Ricama paziente le trame dandoci dentro di sostanza senza eccedere in stucchi; quando il caso lo richiede mostra anima e nerbo. La «garra» gli scorre nelle vene, tiene «huevos» belli sodi il nostro Santiago. Voluto fortemente da Grosso e D’Amico, appena sbarcato a Verona gli sono state immediatamente consegnate le chiavi del controcampo. Una prima partita col Padova così e così: temperamento sì, ma pure qualche imprecisione di troppo, una prova in chiaroscuro ma con scorci di sereno. «Ha stoffa -scrivemmo -, ora bisogna lavorare di sartoria». Tre settimane e il lavoro comincia a dare i suoi frutti. Contro i modesti peones carpigiani, Colombatto ha giganteggiato. Da subito si è impossessato della sua zona in mezzo al campo, l’ha recintata e se l’è gestita in totale sicurezza. Prestazione convincente, oltre che incoraggiante. Ora non facciamone già un campione, per carità d’iddio, ma sul futuro del Gauchito due lire del vecchio conio (il braccetto se nasce corto, non sarà certo l’età ad allungarcelo) ci sentiamo di spenderle volentieri. D’Amico ha pensato e messo a disposizione di Grosso una coperta lunga. Ogni zona ha i suoi interpreti e le sue valide alternative. Grosso può attingere da una rosa i cui tasselli s’incastrano nel puzzle e dove tutti sono utili ma nessuno allo stesso modo è indispensabile. Così nascono le squadre. Tra le certezze che si stanno pian piano delineando in questo primo segmento di stagione, Colombatto si sta ritagliando uno spazio tutto suo. Occhi svegli, rapidità di pensiero ed esecuzione. Era appena un bambino quando lasciò Cordoba per trasferirsi a Buenos Aires nelle giovanile dei Milionarios del River Plate. Pochi giorni e gli affibbiarono il nomignolo di «piccolo Redondo» per la sua naturale capacità di tenersi il pallone incollato ai piedi e di non perderlo mai. Vero che in Sudamerica coi nomignoli, spesso ingombranti, in un eccesso di pomposa enfasi ci vanno a nozze e contronozze, ma un filo di verità c’è. In Italia sbarca nel 2015, dopo qualche traversia. Prima destinazione Latina, ma non se ne fa nulla. Passano tre giorni ed è nientemeno che la Juventus ad aprirgli i cancelli. Provino superato, ma c’è un problema: Il River esige infatti un premio extra per la sua valorizzazione che Madama non è disposta a pagare. Salta tutto. Ecco allora il Cagliari, che se ne convince e finalmente lo tessera. Seguono tre esperienze per farsi le ossa in giro per lo Stivale: a Pisa tra mille problemi societari non vede quasi mai il campo; Santiago si mette allora in luce prima a Trapani dove, sebbene i siciliani paghino con la retrocessione un avvio di campionato disastroso, gioca con continuità, e quindi lo scorso anno a Perugia dove, nonostante sulla panchina si succedano tre allenatori, lui in mezzo al campo è pedina inamovibile. In estate il rientro alla base in Sardegna, ma nel nuovo Cagliari di Maran è chiuso e rischia di non trovare spazio: il giovanotto è bravo, ma per continuare a crescere ha bisogno di giocare. Meglio proseguire quindi il percorso di maturazione altrove. D’Amico fiuta il colpo, si fionda su di lui, e lo porta a Verona dove arriva in prestito con diritto di riscatto e controriscatto. L'Hellas vorrebbe avere il ragazzo tutto per sé, così D’Amico prova a trattare con il ds cagliaritano Carli la cessione. Niet del presidente Giulini. Con i sardi se ne riparlerà a giugno del prossimo anno. Santiago il suo cammino intanto lo prosegue qui, poi si vedrà. Il passo è quello giusto. Avanti così.
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Il cammino di Santiago
Da Cordoba a Perugia via Cagliari, a Verona Colombatto pronto a consacrarsi leader del centrocampo
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