il visto da noi

Il ministro senza portafoglio

La chiarezza di Fusco e il mercato del Verona: pochi soldi, tante idee

Lorenzo Fabiano

Conferenza stampa fiume quella di Filippo Fusco ieri. Piaccia o meno (impossibile mettere tutti d’accordo), in quanto ad eloquenza e comunicativa il ds gialloblù non ha nulla da invidiare a nessuno. Scioglie senza freni la lingua come in un monologo di Alessandro Bergonzoni e lo fa a chiare lettere, cosa apprezzabile in un mondo del pallone che procede a cinguettii sui social.

Il mercato ha lasciato parecchi punti interrogativi sulla stagione dell’Hellas, e non potrebbe essere altrimenti. Ieri pomeriggio il ds, se non proprio su tutti, almeno su alcuni nodi ha fatto chiarezza. Ciò che traspare è che il suo ruolo è quello di un ministro senza portafoglio. Ha l’incarico, ma non ha i dinè. Se vediamo le cose da questo verso, Fusco, pur non essendo un alpinista provetto, si è arrampicato su picchi dolomitici senza corde e picconi. Ha costruito una squadra senza un vero budget a disposizione. Arrivi a parametro zero; prestiti in serie; conferme di giocatori importanti come Romulo e Bessa, quest’ultimo blindato da una clausola rescissoria di 15 milioni. I tifosi si attendevano dall’ultimo giorno di mercato qualcosina di più. Noi pure, ma senza quattrini in bisaccia Fusco è tornato a casa con due teenagers di prospettiva entrambi funzionali alle idee di Pecchia.

Il gran colpo poteva essere Bony: era ad un passo. L’accordo con il centravanti ivoriano pareva essere fatto, ma quando gli emissari del Swansea hanno calato sul piatto del City la bellezza di 12 milioni di sterline, il nostro ministro senza portafoglio ha alzato bandiera bianca e girato i tacchi. “Adesso vallo un po’ a prendere il Bony” deve essersi detto. Il suo calciomercato si è chiuso con l’arrivo dei Kean, il ragazzo prodigio di Madama. Se ne dice un gran bene da tempi non sospetti. Dal campo arriverà il responso.

E’ stata un’estate piuttosto complicata, durante la quale più di un focolaio non è stato spento con la dovuta tempestività. Siamo passati da Toni che sbatte la porta come l’omone Patsy di Nick Carter, ai melodrammi della soap opera Cassano and the Family, fino al caso Pazzini, che se non ci mettiamo una pietra sopra rischia di tramutarsi in un nuovo Harry Quebert. Del primo ieri non s’è parlato (sarebbe semmai stato il caso di farlo prima), sul secondo Fusco ha recitato mea culpa, sul terzo è stato chiaro: Pazzini è un giocatore importante ma non è più il fulcro del progetto tecnico come lo era la scorsa stagione. Che il Verona abbia pensato di cederlo è fuori discussione; non si sono tuttavia sciolti gli intrecci perché ciò potesse materializzarsi. E’ alla fine rimasto ma deve mettersi a disposizione e accettare da professionista le scelte tecniche, questo il diktat.

Prendiamo ciò che il convento passa. L’imprenditoria locale ha da tempo voltato le spalle all’Hellas. Non si vedono sceicchi, oligarchi russi, nè tycoons con gli occhi a mandorla all’orizzonte. Il Verona non è certo un club ricco, le disponibilità sono quel che sono, ma almeno è finanziariamente sano. Non ha debiti né pendenze con il fisco, cosa invece assai comune nel giro del pallone, nella cui costellazione i Frank Abbagnale di turno vagano qua e là a far fesso il prossimo. Teniamocene alla larga, e in attesa che un giorno all’Hotel Melia sbarchi un ministro con portafoglio, pur senza fare sconti a nessuno diamo a Fusco quel che è di Fusco. Il tormenti del mercato sono finalmente alle spalle ed è giunto ora il momento di stringerci compatti attorno a Pecchia e a suoi ragazzi (occhio all’anagrafe media della squadra, il termine ci sembra quantomai in auge). Da qui a gennaio, è la vera unica cosa da fare. Tutti insieme, però.

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