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Il Pecchia sulla graticola non finisce arrosto

Il Verona vince a Sassuolo, l'allenatore rimane. Adesso l'Hellas deve continuare così

Lorenzo Fabiano

E’ forse prematuro parlare di resurrezione? Forse, ma i tre punti di Sassuolo sono la miglior medicina per la guarigione. Il paradosso è che a più di qualcuno deve essere andata di traverso. Già data per scontata la tumulazione calcistica di Fabio Pecchia, il toto-sostituto sulla panchina dell’Hellas è stato il giochino della settimana a tutte le latitudini. Di nomi ne abbiamo letti di ogni; papabili, improbabili, fantasiosi, metafisici. Da Iachini a Reja, da Di Carlo a Colantuono, fino ai fantascientifici ritorni di Malesani e Mandorlini. Ma sì tanto chi se ne frega, quella mezza calzetta di Pecchia non la vuole più nessuno; ha già la valigia pronta, prima ce ne liberiamo, meglio è: e allora, giù col bombardamento. Le V2 non hanno però sortito gli effetti desiderati.

Non è andata secondo i piani stabiliti. E’ infatti successo l’imponderabile (una regola del calcio), il 2 fisso in schedina che sovverte ogni pronostico, anche quello più scontato. Nel D-day di Reggio Emilia, Pecchia e il Verona sono risorti dalle ceneri; non sappiamo se per effetto di qualche visione mistica a Collecchio, ma entrambi si sono sono alzati e si sono messi a camminare, anzi a correre, persino di più di quanto fece Lazzaro. Oddio, a dire il vero, è da un po’ che il Verona mostra segnali di crescita e le partite se le gioca (la sconfitta contro il Bologna ha dell’incredibile); tuttavia le prestazioni, se non sono confortate dai risultati, contano quanto un due di bastoni quando la briscola in tavola è l’asso di denari. Fatto sta, che nel momento più delicato un bel Verona, vivo e cattivo quanto basta, ha preso a pedate gli ectoplasmi del Sassuolo.

Abbiamo visto i gialloblù brandire la spada, come sempre li vorremmo vedere: su tutti, Zuculini un guerriero acheo, Fares piè veloce, Romulo un’ ira di dio, Cerci e Verde un incubo per la malconcia difesa di Bucchi. Quando Valoti ha fallito due ghiotte occasioni, abbiamo rivisto gli spettri di Kean a Bergamo. Poi le cose si sono messe e posto e lo champagne, meglio un buon Durello della Lessinia, è andato in ghiacciaia. La cosa più bella è stato l’abbraccio finale che la squadra ha riservato a Pecchia, il vero vincitore del D-day al Mapei. Che il gruppo fosse unito e remasse dalla stessa parte insieme al suo allenatore, non è una scoperta di ieri pomeriggio, ma quell’abbraccio ha la forza di sgomberare il campo dalle immancabili maligne dietrologie.

E ora? Cambia la classifica: il Verona riaggancia il treno della sopravvivenza, e lì dovrà restare se vorrà avere delle chance di portare a casa l’obiettivo della sua tormentata stagione. Nulla cambia invece per Fabio Pecchia: non era Oronzo Canà prima, non è diventato Josè Mourinho adesso. Rimane semplicemente Fabio Pecchia, un giovane allenatore e una persona perbene per la quale gli esami non finiscono mai. Mercoledì c’è il derby di Coppa Italia con il Chievo; lunedì prossimo, sotto con il delicatissimo scontro diretto in casa con il Genoa.

La graticola si è un po’ raffreddata, ma di brace da ardere ce n’è pronto un carico. E’ il destino di un uomo che sul braciere sta dal giorno del suo arrivo a Verona e vi rimarrà chissà quanto ancora. Lo volevano arrosto; sono rimasti a digiuno. Magari il banchetto è solo rimandato, vai un po’a sapere. Intanto una novità c'è: ha vinto il Verona.

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