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IL PIANISTA E’ SEMPRE QUELLO. MA LA MUSICA NON E’ PIU’ LA STESSA

Mandorlini e la crisi del Verona, il senso di un momento no

Redazione Hellas1903

“Suonala ancora, Sam”, diceva Ingrid Bergman in “Casablanca”. Si rivolgeva all’imperturbabile pianista che accompagnava le sue serate. E la musica era sempre la stessa. Ma non sempre un pianista riesce a ripeterla. Andrea Mandorlini è il Sam di turno. Perché, mentre montano le polemiche intorno alle sue scelte, non ce la facciamo proprio a stupirci delle sue ragioni. L’abbiamo conosciuto direttamente il 9 novembre di quattro anni fa, Andrea. Da allora, il Verona ha scalato le categorie.

L’ha fatto all’insegna di una certa concezione del gioco e degli uomini. Di una determinata weltanshauung del calcio. Tolta la stagione della promozione in B,tutto sommato, allorché Mandorlini allenò, con grande successo, un gruppo che era stato forgiato per un altro tecnico, Giuseppe Giannini, che però nulla cavò da quella squadra poi divenuta vincente. Per questo motivo, Mandorlini adattò alcune sue visioni (si giocò spesso con il trequartista), ma la sostanza, di per sé, è sempre stata quella.

 

Da quella weltanshauung, e parlo a titolo personale, più che addetto ai lavori, ci separano molti aspetti, convinzioni e idee. Da addetto ai lavori, e non a titolo personale, le critiche a Mandorlini non ce le siamo risparmiate. Sulla gestione della squadra nella fase finale del campionato, meraviglioso, 2011-2012. Sulla sua conduzione nell’annata di un salto in A in chiusura a una stagione in cui il Verona doveva essere una Invincible Armada e invece dovette attingere a risorse di resistenza umana per centrare l’unico obiettivo possibile. Con Mandorlini ci sono stati scambi di opinioni accesi, stoccate date e ricevute. Ma questo è un fatto relativo, , che di riflesso, e soltanto di riflesso, va a intersecarsi con il momento gramo che vive l’Hellas adesso.

 

Andrea è sempre Sam. La Bergman (la società, i tifosi, la stampa) gli chiede di suonare la stessa musica. Ma non è così che va. Mandorlini è uno Zeman al contrario: ha un’idea precisa di calcio. Il suo è il figlio naturale della tradizione all’italiana. Difesa e contropiede. Come Nereo Rocco, come Giovanni Trapattoni.  In questo senso, è l’ultimo epigono di quel tipo di cultura tradizionale che ha comunque reso grande questa nazione, trasformandola in uno dei regni mondiali del pallone. Ma non sempre un pianista trova le note giuste. Da un paio di mesi va così. E la musica è stonata, lo spettacolo attira i fischi e le contumelie verso l’“artista” prima acclamato. In realtà, lui è stato sempre quello. E non cambierà mai, nel bene e nel male. La sua forza è la sua debolezza, e viceversa.

 

Mandorlini è un prendere o lasciare. Una volta, durante una conversazione dai toni vivaci, il Verona si allenava ancora a Sandrà, gli dissi: “Non devi vedere tutto quanto come fosse bianco o nero, ci sono tante sfumature di grigio”. Mi rispose: “Io sono fatto così”. Sparare sul pianista perché non suona più la sua-tua canzone è troppo facile. Soprattutto se fino a poche settimane fa si pensava che fosse un Beethoven. Invece è un artigiano della musica, non maestoso, non un interprete di sinfonie, e proprio per questo molto pratico, efficiente se gli vengono dati gli strumenti di cui necessita, che gli permettono di tornare alla musica che conosce. Accorgersene ora è semplicistico e stucchevole. E la dirigenza, che gli ha rinnovato fiducia e contratto, è (dovrebbe essere) la prima a saperlo. Così, se per tutti questi anni si è preso, non si capisce perché ci sarebbe da lasciare ora.

 

Come con una donna, o con un uomo, se si sta con lei, o lui, lo si accetta nel bene e nel male. E i brutti periodi si passano assieme. A meno che il rapporto non sia stato sempre di convenienza. Ma, permetteteci, non vogliamo credere che sia così.

 

 

MATTEO FONTANA  

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