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IL VERONA E’ IL RISCATTO DI UN’INTERA CITTA’
L'Hellas un simbolo contro la crisi e le inchieste giudiziarie
Ci sono stati, e pare siano passati secoli, tempi in cui i manuali di economia e i trattati antropologici si riempivano di pagine sul ricco Nord Est, sulla locomotiva dell’Italia, su quel piccolo mondo antico che venuto su dalle umili origini contadine aveva costruito regni e imperi. Verona, pur nella sua specificità di città di confine (veneto-lombarda-asburgica per storia e tradizione), rientrava in quel modello. Imprenditoria fai da te – e di successo –, pax finanziaria, un popolo operoso che assecondava, ad onta di inevitabili contraddizioni, uno sviluppo impetuoso.
Ci sono stati, appena prima, gli anni ’80. La Milano da bere era distante ma non troppo. E certo, Verona era Bangkok, disagio giovanile e droga, tossici in Piazza Erbe, chi si bucava sotto la statua di Dante, pochi metri più in là. Ma il sistema, nelle sue sembianze, era una forza della natura. Nel paese del craxismo, del sogno all’americana dei soldi per tutti, qui comandava una paternalistica Democrazia Cristiana, incarnata dal ciclone Lele Sboarina. L’Hellas vinceva lo scudetto, andava in Europa. Il sindaco di allora cavalcò l’onda gialloblù, conquistò rielezioni e in Europa, in Parlamento, ci andò anche lui, a suon di voti.
Che Verona sia questa, lo raccontano le cronache quotidiane. La crisi ha chiuso le fabbriche. Decine, centinaia, migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Gli orgogli del territorio hanno lottato e lottano per vedere il riconoscimento dei più elementari diritti. La Riva Acciaio ha riaperto i battenti dopo una lunga battaglia. Le Officine Ferroviarie sono sulla strada. Alla Pozzoni, l’ex Mondadori, ossia il colosso intorno a cui è sorto un intero quartiere, ci sei e non ci sei, e chissà se ci sarai. Per non dire di tutte le altre realtà meno note che, nel sommerso, vengono soffocate dall’angoscia. Perché non bastano i numeri per descrivere i drammi personali che stanno dietro i tavoli proprietà-sindacati o i confronti con la politica.
La politica, già. Questa è anche la Verona in cui scoppia uno scandalo all’ora. Se ne occupano le procure, e urge essere garantisti (con tutti, però, anche con i vituperati ultras, ed è il caso che se ne ricordi qualcuno che istruisce processi sommari alle famiglie o alle presunte male educazioni ricevute…). Parentopoli, il caso Agec, il vicesindaco indagato per corruzione. Materiale più che sufficiente per il compianto Rino Gaetano.
Ne viene fuori il quadro di una città disorientata. Spaventata, con le serrande dei negozi che si abbassano, i consumi al minimo, l’orizzonte del futuro annebbiato. Ecco, in tutto questo, il Verona. Il calcio è stato etichettato spesso come una specie di droga che offusca i problemi, che distrae la gente ad arte. Ma dietro all’Hellas che appaia l’Inter al quarto posto, che al Bentegodi vince sempre, che la mattina dopo la partita ti permette di salutare il postino, l’edicolante, il barbiere e il barista e di vedere nei loro sguardi sollievo e fierezza, ebbene, questo è il riscatto di una città.
E lo rappresenta lo spirito del Verona che perde a San Siro ma non cede al vigore dell’Inter, e che con la Sampdoria sale sulle spalle larghe di Luca Toni per incornare il destino. Ritorna un’idea diversa del pallone: non un furbastro diversivo, ma una grande metafora della vita.
Di nuovo, viene in mente quella scena di “Febbre a 90°”, il film tratto dallo splendido libro di Nick Hornby. Il protagonista, Paul Ashworth, da ragazzino sale in macchina con suo padre, divorziato, e che vede a settimane alterne. Crede di andare a Birmingham per seguire l’Arsenal, la squadra del cuore (ma il concetto è assolutamente intercambiabile), impegnato con l’Aston Villa, ma i piani sono differenti. E questo è il dialogo che ne scaturisce.
PAUL: Cioè, mi stai dicendo che hai i biglietti però vuoi andare a vedere “Il Libro della giungla” o roba simile?
PADRE: Senti, mica dobbiamo andare avanti a vedere l’Arsenal tutte le volte che torno a Londra, ti pare? Pensavo l’avessimo superata questa fase…
PAUL (tra lo sbalordito, l’attonito e il disgustato): NOI NON SUPEREREMO MAI QUESTA FASE.
Forza Verona: il tuo giorno verrà.
MATTEO FONTANA
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