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Il vino buono verrà

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A Juric spetta un lavoro lungo e difficile che richiede tenacia e pazienza

Lorenzo Fabiano

«Ciapa e porta a casa». La miseria di un punto? «Sì. Ciapa e porta a casa». Un solo gol fatto? «Ne abbiamo anche preso uno solo. Pari e patta, perciò ciapa e porta a casa». C’è chi il palato se lo deve essere fatto bello fino, se dalle colline del Durello è salito fino alle campagne dello Champagne.

Da San Giovanni Ilarione a Reims è lungo viaggio, sulla cui utilità nutriamo tuttavia seri dubbi, permetteteci. Primo perchè i vigneti della Lessinia sono una bellezza, secondo perché il rischio di staccare i piedi da terra è bello alto. E infatti puntualmente c’è chi mugugna. Ciò che poteva andar bene, non va più bene, e la mosca viene al naso per lo zero a zero un po’ bigio coi sopravvissuti del Genoa venuti dal lazzareto.

Per carità, la serata non avrà offerto chissà quali effervescenze, quali fini perlage, ma il mosto, poco o tanto che sia, lo abbiamo messo in cantina a fermentare e a farsi vino. E sarà magari un vino non da tre bicchieri sul Gambero Rosso, forse nemmeno da due, ma sarà alla fine schietto e onesto come noi, gente del Verona. Un vino che sarebbe tanto piaciuto a quella buonanima di Luigi Veronelli. Ci metterà un po’ e ci vorrà tempo: si comincia con la fermentazione che dovrà essere controllata alla giusta e costante temperatura; dopo la necessaria maturazione, verrà il tempo dei travasi e delle chiarifiche, fino alla filtrazione e alla messa in bottiglia.  Un lavoro lungo e difficile che richiede tenacia e pazienza. Questo è il compito del cantiniere. E un bravo cantiniere che il suo lavoro lo sa fare, il Verona ce l’ha. È Ivan Juric.

Conclusa la vendemmia (che nel calcio è il mercato; sul trattore a raccogliere l’uva ci è andato Tony D’Amico), il Verona è adesso in pieno processo di vinificazione. Esercizio complesso, che poggia sulla continua ricerca dei giusti equilibri calibrando i dosaggi negli assemblaggi. Un cantiere aperto, quindi? Sì, un cantiere aperto. Scusate la disgressione, ma ci sembrava doverosa, in quanto la questione va portata nei giusti binari della sua dimensione: chi avesse ancora negli occhi il Verona dello scorso anno, farebbe bene a toglierselo. Salviamo il file in memoria, ma leviamolo dal desktop. Liberiamo la scrivania. Dai fraintendimenti.

La squadra è molto cambiata, certo, ed è del tutto inutile ripetere sempre le stesse cose; le solfe, si sa, annoiano. Ma è proprio per questo che la barra va tenuta a dritta. La rosa è ampia e ben assortita, ma va amalgamata giorno dopo giorno e assemblata come quel buon vino. Per ovvie ragioni, questo è un campionato schizoide che, se mai arriverà in fondo, rivelerà sorprese e ribaltoni, almeno quanto la pesca degli imprevisti al tavolo del Monopoli. Alti e bassi sono all’ordine del giorno. Situazione non rischiosa, ma rischiosissima. Uno scivolone e ti ritrovi nella palude. Per cui, come ha giustamente ha sottolineato Matteo Fontana, non facciamo tanto gli schizzinosi. Che no, non è proprio il caso. E allora «Ciapa e intanto porta a casa». Il buon vino verrà.

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