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Juric che va, Juric che resta, questo è il dilemma

La telenovela continua, il Verona ha fatto il possibile, adesso spetta al tecnico decidere

Lorenzo Fabiano

M’ama o non m’ama, va o resta, Juric o non Juric. Povere margherite, sfogliate dal tormentone di questa anomala estate. Dopo il pari al Bentegodi contro l’Inter, la conferma pareva cosa fatta: «Stiamo parlando, con la società va tutto bene» aveva detto egli stesso. Questione di dettagli, se non una formalità. Anche perché un contratto, come ha sottolineato Maurizio Setti davanti agli affamati microfoni di Sky a pochi minuti dal calcio d’inizio del match contro l’Atalanta, il tigrotto spalatino ce l’ha: rinnovo automatico in caso di salvezza e adeguamento che si aggirerebbe nell’ordine di un milioncino. Mica pizza e fichi per i budget di spesa «frugali» di via Olanda (toh, beccati la coincidenza). E invece dettagli non erano. E formalità ancor meno.

Sempre davanti ai microfoni di Sky, nella sala stampa dell’olimpico di Roma, Juric ha spiazzato tutti: «Non so cosa farò. Ci devo pensare». Ahi, ahi, ahi…Parole che nel pallonese corretto spostano le lancette del barometro al cattivo tempo. Nuvoloni in arrivo? Si vedrà, per il momento tutto è di nuovo in ballo, tutto in discussione. E ora? La palla ce l’ha Ivan il Terribile, insieme all’offerta del Verona e l’eco delle sirene in arrivo da Firenze, ma non solo (anche il Torino si sarebbe unito al corteggiamento). Certo, andare a prestare i servigi alla corte di Rocco Commisso o Urbano Cairo, è ipotesi allettante e gratificante per la carriera. Piazze ambiziose che puntano all’Europa e inclini a mettere mano al portafoglio per raggiungerla. Soprattutto la prima dove Rocco «vuò fa l’americano» e non lesina a staccare assegni, un po’ meno la seconda, che tuttavia nel tecnico croato troverebbe il profilo giusto per condurre l’operazione rilancio dopo una stagione tribolatissima.

Di ciò che Juric ha dato al Verona, è persino scontato e superfluo dire. Di questi tempi, un anno fa la squadra veniva liquidata come sicura retrocessa, e il suo allenatore bollato come primo esonero della serie A. È andata ben diversamente. Il Verona più bello degli ultimi vent’anni è oggi «la piccola Atalanta», nonché la vera sorpresa del campionato; se la gioca con tutti (memorabile il capolavoro della vittoria sulla Juventus), non molla mai, ha lanciato nuove stelle e rigenerato l’usato dato per rottamabile; il suo modo di approcciare le partite piace e diverte, ha un’idea di calcio precisa che ha convinto tutti, anche i più scettici. Risultato: salvezza raggiunta con largo anticipo, e classifica nell’anticamera dell’Europa. Un’impresa bella e buona.

Ma se Juric ha dato molto al Verona, è pur vero anche il contrario: merito di una società e un giovane ds che hanno creduto e puntato su di lui, quando nessuno ci avrebbe messo un penny. Un debito di riconoscenza che andrebbe quanto meno onorato. Ma c’è di più: il Verona oltre alla fiducia, gli ha dato ampia libertà d’azione, fattore assai raro su altri lidi dove le invadenze quotidiane dei dirigenti son prassi. Juric prima di fare la sua scelta, farebbe quindi bene a tenerlo a mente. Poi, per carità, sia quel che sia. Qui abbiamo dato meriti, reso tributi di parole senza mai tuttavia beatificare né idolatrare nessuno. Stiamo semmai con Franchino, anima saggia del rione Carega, uno che ne ha viste tante, e tante ne ha vissute: «Se Juric va via, ghe ne vien un altro…Hellas 1903» l’ha messa giù così. Ecco, appunto.

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