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Kuang Yo, Chin Chu Lan e Mister McKenzie

Matteo Fontana

Setti e un Verona che sarà (e ancora non è). Ma almeno non si sente più parlare di brand

E alla fine Maurizio Setti parlò.

Non lo faceva, tolte le apparizioni lampo sulle tv a pagamento, da gennaio. Allora sembrò irritato, nervoso, teso a fronte di una stagione in cui il Verona era già a fondo, dopo un girone d'andata con 8 punti racimolati, senza vittorie e con una cifra di calcio espresso frequentemente deplorevole. Lui stesso, pur non ammettendolo, si era reso conto delle molte cose che non avevano funzionato o che aveva sbagliato.

Il Setti di oggi è stato diverso, e tutto sommato ha fatto chiarezza su alcuni punti: l'Hellas 2016-2017 avrà come obiettivo la Serie A, ma prima di tutto vengono i conti. E qui non saremo sulla stessa linea del Giambattista Pastorello che nel 2002 parlò, citando Winston Churchill, di "sangue, sudore e lacrime", ma mica ci va così distante. Niente proclami, ed è meglio così: può piacere o non piacere, come il pesce-ratto di Filini nella "saga" fantozziana, ma almeno ci si può regolare senza volute di fumo extra-large.

Francamente ha fatto sorridere la scelta di Setti di congelare gli stipendi dei giocatori in questi mesi per cattivo rendimento. Ammettiamo che sia così, ma la mossa alla Romeo Anconetani o alla Costantino Rozzi, presidentissimi infuocati di un calcio che non c'è più, mica avrebbe (ci permettiamo il condizionale) potuto dare chissà che risultati, nel pallone showbiz di oggi.

La constatazione che rimane è quella di un Setti distante dall'imprenditore ruspante che prese il Verona nel 2012. Quello che investì  per centrare subito la Serie A, e in questo senso l'affidamento del timone a un direttore sportivo operativo come Sean Sogliano andava a collimare con una logica che poi, evidentemente, non è stata più la stessa.

Neppure si è visto il Setti tracotante di un anno fa, giunto al via della quarta stagione da proprietario dell'Hellas e la terza consecutiva in A. Aveva spazzato via un intero settore - quello, appunto, della direzione sportiva - e aperto, riteneva, un nuovo ciclo: "Per tre anni non cambieremo più", aveva assicurato, il giorno dell'insediamento da ds di Riccardo Bigon.

Ora c'è un Setti intermedio. Non più il "Ranzani" di cui ha spesso scritto il collega e amico Francesco Barana. Non si sente più parlare di "internazionalizzazione" del brand, né di modello Borussia Dortmund. Abbonamenti a costi più bassi, l'annuncio, e ci si augura che la riduzione non sia formale ma sostanziale (perlomeno sono finiti i tempi degli aumenti "fisiologici"), maglie con colori identitari (nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus, cantava Orazio).

E così, aspettando Kuang Yo, Chin Chun Lan e Mister McKenzie, i mega-tycoon e petrolieri nippo-cino-americani evocati con una battuta da Setti come auspicati investitori oggi, il primo passo è recuperare l'Hellas che viene dalla tradizione. Magari provinciale, di sicuro Provinciale, con la "P" maiuscola.

Il problema, in questa piazza, non è mai stato lottare in B o pure più in basso. Basta dirlo. E saperlo. E riavvicinarsi alla città, ritrovare il vero Verona e ricominciare senza promesse di grandeur. Quella, la storia dell'Hellas lo insegna, arriva soltanto con l'umiltà. Senza brand e senza Yo, Lan e Mckenzie. E ovviamente non in fluo.