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LA RAGIONE E IL SENTIMENTO

L'unico Verona possibile nel calcio-business è questo. Con l'inevitabile prevalenza delle leggi di mercato

Redazione Hellas1903

Suvvia, di campioni, a Verona, la fortuna è sempre stata quella di averne visti tanti. Preben Elkjaer, Josè Dirceu, ma che ne dite di Piero Fanna, Antonio Di Gennaro, Roberto Tricella? E poi, con meno suerte, Claudio Paul Caniggia e Dragan Stojkovic. Oppure Adrian Mutu e Mauro German Camoranesi. Prima, Gianfranco Zigoni, e Ciccio Mascetti, e Gianni Bui. Giù il cappello di fronte a Juancito Iturbe, ma adesso andiamo avanti: c’è da fare, c’è da costruire una squadra competitiva, come promesso dalla dirigenza a più riprese.

 

Si alza il sipario, con il tradizionale rendez-vous con la tifoseria allo stadio Olivieri, sul via alla stagione gialloblù. Con quali aspettative, si dirà a fine mercato. La linea che si mantiene su queste colonne non varia: salvezza, all’ultimo minuto dell’ultima partita. Possibilmente su rigore. Non ci stufiamo di ripeterlo. La Serie A è l’unica ancora che permette di programmare, quando addirittura di non essere cancellati dalla geografia del calcio. Il Padova e il Siena, gloriose realtà, hanno appena ammainato bandiera. Sarebbe accaduto anche all’Hellas, negli ultimi dieci anni, non fosse intervenuta la follia passionale di Piero Arvedi e quella, inizialmente calcolatrice e poi innamorata, di Giovanni Martinelli.

 

 

La gestione di Maurizio Setti, con la sua struttura orizzontale (ogni area con uomo forte nelle competenze, dal settore sportivo a quello amministrativo, e niente interferenze), ha dato al Verona la conformazione di una società in cui il pallone che rotola sul campo è la base di quello che ora si chiama core business: i risultati sono la chiave per ottenere legittimi guadagni, reinvestire e creare un circolo virtuoso, intorno al quale devono fiorire altre attività, legate all’impiego del marchio, dal merchandising in avanti, alla commercializzazione del cosiddetto brand – questa è la terminologia dominante – in senso stretto, orientata ad esportare all’estero colori, metodi e usi societari.

 

Il raffronto con i tempi che furono non vale a molto. Anzi, sta a zero. Ferdinando Chiampan si sarebbe svenato per trattenere Jorginho e Iturbe (o Romulo, altro partente di lusso). E l’ha fatto con Elkjaer, con Di Gennaro, con Tricella. Si è trovato solo, contestato, sconfitto fino a sentire lo scrocchio della cella della prigione che si chiudeva. Il Verona fallì.

 

Ci sarà meno poesia in quello che è l’Hellas di adesso, ma è molto meglio avere un Iturbe in meno che rischiare guai. Il futuro sarà sempre più così. La ragione, constatazione inevitabilmente amara, eppure doverosa, deve anticipare il sentimento.

 

I risultati, poi, li vedremo, al solito, da  agosto in poi. Ma questa è tutta un’altra storia.

 

MATTEO FONTANA

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