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Lavoro di squadra

Setti incassa e spende, D'Amico il tessitore, Juric il martello: storia di un calciomercato che è finito

Matteo Fontana

L'ultimo ingaggio ufficializzato dal Verona, ieri alle 19.30, è stato quello più rumoroso. L'arrivo di Nikola Kalinic dà un volto diverso al calciomercato dell'Hellas. Senza un attaccante di spessore, la lettura di quanto fatto dal club gialloblù in questi mesi serratissimi sarebbe stata differente.

Non si può parlare di una campagna trionfale, ma il Verona ha fatto le cose giuste nei posti giusti. Se vogliamo trovare un rebus, allo stato delle cose, si può dire che sulla trequarti sembra che ci sia meno estro rispetto alla scorsa stagione. Evidentemente, il grande discrimine sta nel muro alzato dall'Atalanta al nuovo prestito di Matteo Pessina. Fosse arrivato lui, parleremmo di un Hellas da voti altissimi.

D'altronde, è di sicuro, questo Verona, una squadra dal volto cambiato e che per questo esige tempo e pazienza per arrivare ad avere un'identità più chiara. Molte certezze, sul piano del carattere e dell'atteggiamento, già ci sono, e questo è un punto favorevole.

Dunque, com'è nato il nuovo Hellas? Attraverso il lavoro di squadra e la condivisione. Maurizio Setti ha incassato molto, come nessun presidente del Verona nella storia. Le valorizzazioni di Amir Rrahmani, Marash Kumbulla e Sofyan Amrabat hanno fatto (e faranno, per quanto riguarda Max) affluire nei bilanci societari un pacco di milioni di euro. Ma va dato atto a Setti di aver investito. Si sa che la filosofia del numero uno di via Olanda vieta balzi in avanti e scelte arrischiate. Quando è accaduto, in passato, per poco il Verona non finiva a gambe all'aria. La lezione è servita, ma pure quella che dice che se non spendi in Serie A non ci stai.

Sono aumentati i giocatori di proprietà, c'è un orizzonte aperto sul futuro, sono arrivati giovani emergenti di prospettiva. Rimane una fetta di prestiti che, chissà, un giorno non lontano l'Hellas sarà in grado di stabilizzare senza dover andare a Canossa.

Tony D'Amico ha fatto da tessitore di una tela che poteva essere di iuta o di seta. Il ds è un maratoneta e non si ferma mai, ha piazzato operazioni a sorpresa (occhio al talento di Ivan Ilic, tra le altre, e pure a Bruno Amione) e ha dovuto fermarsi di fronte al "nient" di chi non ne ha voluto sapere di cedere uomini che potevano essere in uscita e invece no (è il caso di Dusan Vlahovic e, in altra misura, di Antonio Sanabria). La stoffa che è uscita dall'arcolaio di D'Amico è del caldo cotone da mettere alla prova con i prossimi freddi autunnali e invernali. Dopo, arriverà la primavera con i suoi responsi.

Dopo tutto, last but not least, è il sarto che ha in mano il materiale. Ivan Juric non ha risparmiato le bordate durante il mercato, ha presentato le proprie richieste con per nulla vellutata franchezza, l'ha fatto in pubblico con toni diplomatici nel limite di quanto gli sia consentito da un temperamento schietto e diretto quanto un jab sul ring. In privato, c'è da ritenere, conoscendolo, che non abbia usato parole da consesso delle Nazioni Unite in tempi di pace mondiale. Comunque sia, gli è stata consegnata una rosa su cui potrà intervenire con la sua abilità e con la sua spiccata chiarezza di idee. E a Parma - partita gettata via tra una "dormita" difensiva e (almeno) una topica in attacco - il Verona è stato più convincente di quanto fosse accaduto con l'Udinese. Ivan il Terribile è un martello e sa fare quel che bisogna fare.

E allora, come diceva quello, buon campionato a tutti.

 

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