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Le tigri di Mompracem ora vogliono i punti

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Abbiamo lasciato abbastanza, è ora di prendere

Lorenzo Fabiano

Mettiamola così, giusto per chiarezza: in tanti anni noi il Verona giocare così bene a Torino in casa della Juve non lo avevamo mai visto. E, udite, udite, nemmeno nel magico anno dello scudetto. Forse bisogna risalire fino al 1972 quando fu Salvadore a salvare Madama a cinque minuti dalla fine dopo che i nostri erano andati in vantaggio con Luppi.

Va bene, ma qui non facciamo archeologia del pallone. Concentriamoci sul presente: il Verona torna a casa sì sconfitto, e vista l’erba di chi calcava ci sta, ma esce dal confronto a testa altissima. Suona sin superfluo dire che un pareggio sarebbe stato sacrosanto. Juric è rimasto fedele al suo credo: squadra alta, pressing a tutto campo, intensità, e rapidi scambi in verticale: soprattutto nel primo tempo, il suo Verona ha preso per la gola la Juve fino a soffocarla. Quella di Sarri è un ancora un’idea in divenire (attenti però che non rimanga tale), ma raramente abbiamo visto una Juventus così in imbarazzo negli ultimi anni. Per 45 minuti ha rivisto gli spettri dell’Ajax, si è trovata nella giungla sotto l’assalto delle Tigri di Mompracem, abili a tenderle l’imboscata.

Il comandante Veloso (portoghese come Yanez) disegnava il piano di guerriglia e metteva nel sette la perla di Labuan, Sandokan Amrabat seminava il terrore brandendo la scimitarra: e giù fendenti. In panchina Sarri era più paonazzo di Lord Brooke e masticava amaro il mozzicone. Anche Emilio Salgari sarebbe orgoglioso di questo Verona, c’è da giurarci. Alla Juve è andata di lusso, d’altronde quello è il suo karma: un tiretto di Ramsey deviato da Gunter l’ha rimessa in piedi, poi Ronaldo ha approfittato dal dischetto di una sciocchezza commessa da Gunter (sempre lui, che serataccia!) in piena area. Pur meno brillante che nella prima parte, il Verona non ha ceduto di un millimetro, ha abbassato la capoccia e si è rimesso a spingere: solo il sederone di Bonucci e i guantoni dell’inossidabile Buffon gli hanno sbarrato la strada.

Applausi, ma zero punti come una settimana fa con il Diavolo spuntato, fatto a polpette dall’Inter nel derby. Nello specifico, il Verona si conferma squadra solida: concede poco e in quattro partite ha subito tre gol su rigore, e un mezzo golletto; Silvestri è un signor portiere, Rrahmani è un’ira di dio, Kumbulla a 19 anni mostra la personalità di un senatore. Non ce la sentiamo di crocifiggere nemmeno lo sciagurato Gunter: su Cuadrado ha compiuto una dabbenaggine, ma, purché impari la lezione (e con un martello come Juric, le possibilità che ci riesca sono elevate), siamo in vena di perdono.

Il rovescio della medaglia dice invece che l’attacco è ancora a digiuno: i gol finora li han fatti due centrocampisti, Veloso (due) e Pessina; Bologna e Lecce le abbiamo affrontate senza una punta centrale vera (Tutino, pur bravissimo, non lo è), e contro il Milan l’opificio Orsato-Manganiello Srl Stepinski ce lo ha tolto dopo solo venti minuti; a Torino abbiamo ritrovato il Taco de Oro Di Carmine: lui si è battuto facendo ciò che poteva, peccato abbia fallito quel rigore; sarebbe stato manna al suo morale. Altro discorso va fatto sulla disciplina: bene aver temperamento, ma tre rossi in quattro partite sono oggettivamente un po’ troppi: bisognerà metterci un freno, perché la panchina l’abbiamo, ma la lunghezza della coperta non arriva all’infinito.

Morale: sono solo quattro partite, ma sufficienti per capire che questo Verona c’è, ha un’idea precisa di cosa fare, e in campo va con gli attributi quadrati. Il calcio è però fatto di numeri: ai complimenti, preferiamo i punti. Martedì al Bentegodi contro un’Udinese già col fiato bello grosso, sarà scontro diretto. Sul tavolo ballano punti pesantissimi, la salvezza passa da lì. Contro Milan e Juve abbiamo raccolto zero, quando avremmo meritato ben di più. Siamo quindi in credito: poche storie, i conti è meglio saldarli subito senza tirarla troppo lunga. Abbiamo lasciato abbastanza, è ora di prendere. Yanez a Sandokan direbbe così.

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