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Le urla del silenzio

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Tutto ciò che abbiamo visto ieri con il calcio non c’entra proprio nulla

Lorenzo Fabiano

Il Verona ha perso. E chissenefrega. Sì, chissenefrega. E lo diciamo pure a gran voce. Perché, scusate, sarà mica calcio quella roba lì, sguaiate urla nel silenzio in una cattedrale desolatamente vuota di fedeli. Chi ama veramente questo gioco, non può venirci a dire essersi appassionato a uno spettacolo di cui si son impossessati gli spettri. Ha ragione Ivan Juric, uno che in quanto a favella non ci gira mica tanto intorno: «È ridicolo tutto ciò. Troppa incoerenza, non ha senso» ha detto. Sottoscriviamo in pieno. Ognuno che dice la sua, ognuno che tira dritto bellamente per la sua strada, in un paese malato, e certo non solo di ‘carognavirus’, nonostante in sessanta milioni abbiano sempre pronta una ricetta. 

A campionati che si fermano, fanno da contraltare altri che vanno avanti zoppi, in barba all’unità dello sport; d’altronde il Coni conta quanto l’Onu quando c’è da mettere d’accordo i potenti della terra. In una domenica da pieno corto circuito, non ci siam fatti mancare nulla. Da un ministro che con un tempismo che neanche un Seiko al quarzo, invitava (ma non lo poteva inserire nel famigerato decreto notturno, la cui fuga di bozze ha generato un pandemonio) a non giocare, quando a ora di pranzo nel deserto del Tardini Parma e Spal stavano però già in campo, a un’associazione calciatori che invitava allo sciopero, salvo non decretarlo con ferma presa di posizione; tutti sempre bravi a invitare, mai a decidere. Vecchio refrain. E poi il resto a rincarare la dose: da una Lega Calcio che in queste ultime settimane non ha mai perso occasione per esibire il peggio del peggio, che abbarbicandosi nel bunker delle porte chiuse pensava di aver risolto ogni problema, a una pay-tv che in modo penoso e irritante per tutto il pomeriggio di una domenica surreale, si arrampicava sugli specchi per farci credere che quelle urla del silenzio fossero vagiti di calcio vero. Eh già, perchè c’era il derby d’Italia più triste che la storia ricordi, da lanciare in onda alla sera; la partita da fare a tutti i costi, anche quelli del pudico buonsenso. E poi via di altra rovente baruffa tra pay tv e ministro. Avanti Savoia. 

Una grande commedia, un gioco delle parti che non poteva che riuscire assai male. Ci chiediamo per quanto ancora dovremo assistere a uno scempio come questo. Il calcio potrebbe almeno metterci una pezza, e prendere la decisione più sofferta, ma anche più ragionevole: fermarsi. L’unica cosa da fare per recuperare un briciolo di credibilità. Perché tutto ciò che abbiamo visto ieri, con il calcio non c’entra proprio nulla. Più che una brutta copia, è semmai un amore tradito. A quanto pare, la decisione di porre lo stop ai campionati sarebbe stata già presa. Rimane però da capire chi, in un paese dove lo sport nazionale è fuggire a gambe levate dalle proprie responsabilità, si assumerà l’onere di staccare la spina. Nessuno vuole restare col cerino in mano, ed è comprensibile. Ma in casi come questi, tocca a chi sta peggio di tutti sul proscenio del teatrino. Ruolo assai poco invidiabile che spetta alla vituperata Lega Calcio, nella persona del suo presidente Paolo Dal Pino, quello che per la telenovela del Derby d’Italia il presidente dell’Inter Steven Zhang ha preso a ceffoni ricoprendolo di ogni epiteto. Pena (in ogni accezione del termine), l’ennesimo imbarazzo del commissariamento, ipotesi quantomeno da scongiurare, visto il momento. Ci si metta per una volta d’accordo, perché crediamo sia chiaro a tutti come quelle urla del silenzio in questa maledetta domenica non siano state che uno schiaffo a chi il calcio lo ama. E l’altra guancia, qui nessuno ha voglia di porgerla. «Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro» Scrisse Pierpaolo Pasolini. Fermatevi! 

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