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Lo Stretto di Juric

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La serata di Roma ha fornito conferme per chi il Verona lo conosce, e stupore per chi ne ha una visione in superficie

Lorenzo Fabiano

E ora anche i gradoni dell’Olimpico hanno capito cos’è questo Verona. Per la Lazio era un’occasione d’oro: una vittoria nel recupero von l’Hellas si sarebbe tradotta nel sorpasso sull’Inter, il secondo posto in classifica a due punti dalla Juve, e un margine di 13 lunghezze sugli odiati cugini figli della lupa. Sembrava tutto già bello che scritto e catalogato: c’era un problema, e pure bello grosso, il Verona. Per certa stampa nazionale, per non parlare poi di quella capitolina, la banda Juric sarebbe venuta a Roma a recitare il ruolo dell’agnello sacrificale da girare arrosto sull’altare di Formello; una fiction. D’altronde il calcio accende così tanto le passioni e dà libero sfogo alle immaginazioni da confondere la fredda analisi giornalistica con il copione di una sceneggiatura buona per Cinecittà. Ci sta. Succede del resto anche a noi, quando di mezzo c’è una maglia gialloblù. Perché il cuore, mica è un microchip.

La serata di Roma ha fornito conferme per chi il Verona lo conosce, e stupore per chi ne ha una visione in superficie. La Lazio si è ritrovata a fare i conti con una squadra vera, ben organizzata che dell’intensità fa il primo comma sulle sue tavole della legge. Nulla di nuovo. Tutta roba, che sarà pure tanta, che conoscevamo già sin troppo bene. Altri evidentemente no. Pressione, occupazione di tutti spazi sul campo, profondità: gamba e polmone, frutto di una condizione atletica straripante. Tutto ok. Ma, consentiteci, c’è di più. Il Verona ammirato nella serata dell’Olimpico è stato anche altro: ha mostrato di essere una squadra figlia delle idee, che la palla la sa trattare facendola girare con autoritaria personalità. Un occhio davanti e uno dietro, ha messo per lunghi tratti sotto scacco una Lazio che ha viaggiato sulle fiammate e le invenzioni di quel genietto di Luis Alberto. Dai suoi piedi, son arrivati i maggiori pericoli per Silvestri: quando il portierone non ci poteva arrivare, sono stati i legni a dargli una mano. Sempre e solo tentativi dalla distanza, però. Perchè nella nostra area il naso la Lazio ce lo ha messo davvero poco. Immobile, lo spauracchio della vigilia, finito nella morsa di nostri mastini, non ha combinato un bel nulla ed è rimasto all’asciutto. Caicedo? Un fantasma. Milinkovic-Savic? Caricato a salve. E così il Verona se l’è giocata, ha avuto le sue belle opportunità, e nella ripresa ha tenuto a lungo il pallino del gioco in mano mostrando di averne di più del suo illustre avversario. Nel complesso, ha dimostrato di essere più squadra, e per questo si è fatto apprezzare. Magari ora anche qualche solone col parruccone, si sarà accorto che la vera sorpresa di questo campionato siamo noi. Alleluia.

Questa era la seconda tappa in una settimana foriera di un trittico che per altri saprebbe di incubo da far tremare i polsi. Due trasferte a casa di Milan e Lazio, e gran chiusura con la Juve in un Bentegodi strapieno. Roba da brividi. Non per questo Verona, che la paura non sa nemmeno cosa sia, è in piena fiducia, non perde mai la via della ragione, e l’acido lattico se lo sciroppa come un buon calice di Valpolicella. Superati a pieni voti i primi due scogli, per completare la circumnavigazione, ci  attende ora Capo Horn. Juric ama la storia. Conoscerà bene anche quella di Magellano, che il pericolo lo aggirò prendendolo alle spalle, per la via che da allora porta il suo nome, lo Stretto di Magellano. Come il Verona senza punte, che la sua via l’ha trovata attraverso lo Stretto di Juric. Bella storia.

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