Forte e triste, introverso e orgoglioso, ritrovato e perso. Amato di un amore silenzioso e potente insieme, eppure dimenticato da troppi.
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Più solo di un un portiere: un libro per raccontare Giuliano Giuliani
C'è il tocco dell'emozione mai retorica nel racconto di Giuliano Giuliani nel libro scritto da Paolo Tomaselli, giornalista del "Corriere della Sera", un ricordo pubblico e privato insieme che già nel titolo disegna la traiettoria personale (certo, anche professionale, ma è, più di tutto, l'uomo che emerge, nella felicità avuta e nelle sofferenze terribili) di un ragazzo che è stato strappato alla vita, ventisei anni fa, il 14 novembre del 1996, da una malattia terribile, l'AIDS, a cui era un tabù anche fare un cenno, nel calcio di allora e pure di oggi.
E così "Giuliano Giuliani, più solo di un portiere" (66thand2nd, 208 pagine, 16 euro), per chi ricorda "Giulio" e anche per per l'anagrafe non l'ha visto, è un intenso percorso tra le vittorie, grandi ed eterne e il dolore che sempre l'ha tormentato.
Al Verona, Giuliani arrivò nel 1985 per sostituire Claudio Garella, passato al Napoli. Avrebbe seguito, lui stesso, le medesime tracce, e a Fuorigrotta, dal 1988 al 1990, avrebbe conquistato, dopo la Coppa UEFA, il tricolore. Nell'Hellas, indossò la maglia con lo scudetto, e per una stagione l'amore non sbocciò con i tifosi, con la squadra che faticava e il pensiero di Garella che restava dentro.
Poi, nacque il nuovo mito di "Giulianik", il portiere che parava tanto e bene, compresi due rigori a Diego Armando Maradona, e uno, respinto a Roberto Pruzzo, che valse, in capo a una sua prestazione formidabile, lo 0-0 all'Olimpico con la Roma.
C'era Giulio nell'Hellas che fu quarto nel 1986-87 e ottenne la seconda qualificazione alla Coppa UEFA, da cui seguì la magnifica cavalcata in Europa che condusse fino ai quarti e alla sera di Brema, il 16 marzo 1988, all'1-1 col Werder che eliminò il Verona e pose fine, di fatto, all'età dell'oro, quella dei sogni che furono epopea.
Ma questo è un viaggio nei risultati, mentre Tomaselli indica al lettore la strada del Giuliano con le sue gioie quiete le torride amarezze, quel suo cadere e rialzarsi, come fanno i portieri, e Giulio, portiere, lo fu in modo meraviglioso, tra i migliori in Italia, in anni in cui il ruolo, ai vertici, era egemonizzato da Walter Zenga e Stefano Tacconi.
Così, sono le immagini a guidare lungo queste salite che anche nella felicità danno una traccia di malinconia, certe volte lieve, altre, invece, profonda.
Allora, per capire davvero Giulio, ci sono le parole che, incontrando Tomaselli, pronuncia Gessica, la figlia che, bambina, accompagnò a scuola, dicendole di fare la brava, come soltanto un papà può, il giorno in cui entrò in ospedale, al "Sant'Orsola" di Bologna, prima che un'ultima crisi lo spegnesse: "Alla sera non riuscivo a addormentarmi senza avere la mano di mio padre nella mia. Quella mano mi manca moltissimo. Tuttora non prendo sonno se non abbraccio un cuscino a forma di cuore. E se vado in albergo, ne chiedo sempre una in più, per poterlo stringere. È il ricordo di lui che mi porto dentro, ancora adesso. Aveva delle mani bellissime".
M.F.
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