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Saponara, a Verona (per ora) la sua storia un senso non ce l’ha

Saponara, a Verona (per ora) la sua storia un senso non ce l’ha - immagine 1
Il fantasista doveva essere un valore aggiunto ma è diventato un enigma, anche tattico
Lorenzo Fabiano
Lorenzo Fabiano Autore 

E poi ci sono quei tipi lì, i Saponara, i “to be or not to be”, creature amletiche nelle nebbie, codici enigma del pallone che Piero Bartezzaghi non avrebbe saputo se metterli in verticale o in orizzontale nei suoi ingegnosi cruciverba. Motori ibridi (sempre ce si accendano e non restino parcheggiati un garage) che al posto di un numero sulla schiena portano un punto interrogativo. Son quelli che non si sa perché stiano lì, tanto che pare non lo sappiano nemmeno loro. Vacci un po’ a capire qualcosa te dei Saponara. Boh…Vasco direbbe che “questa storia un senso non ce l’ha”, e noi canteremmo con lui.

Arrivato al Verona in estate (ovviamente a parametro zero) dalla Fiorentina dove, sia pure a spizzichi e bocconi (girato spesso in prestito, solo nelle due ultime stagioni ha trovato un po’ di continuità in viola), è rimasto sei anni, Riccardo Saponara è stato presentato come il vero valore aggiunto del mercato, l’uomo che avrebbe dovuto farci fare il salto di qualità, il trequartista di classe, esperienza e fantasia chiamato a indicare la retta via del gol. Da buoni figli di San Tommaso, confessiamo che più di un dubbio lo avevamo; le qualità tecniche non si discutono, ma su quelle caratteriali parecchie perplessità le nutrivamo: a dispetto del nome,  Saponara non ci è mai parso quel che si dice  “un Riccardo cuor di leone”, la sua condizione atletica, sebbene faccia solo 32 anni a dicembre, non ci apriva orizzonti di ottimismo. Lento, macchinoso e statico, con movenze da partitella il sabato mattina coi colleghi del dopolavoro ferroviario non ci pareva proprio adatto a una squadra come il Verona che per non affondare deve sempre viaggiare su alte frequenze; ben vengano i piedi buoni, ma nel calcio attuale se non son supportati da un’adeguata forma fisica, di strada ne fai pochetta.

Così deve averla pensata Marco Baroni sin dal primo giorno che se lo è visto arrivare al ritiro estivo sotto le Pale di San Martino, se dall’inizio del campionato in dodici partite lo ha schierato titolare una sola volta, peraltro sostituendolo dopo un’ora di apatia, a Frosinone e facendogli così mettere insieme 154 minuti su un totale di 1080. Con Napoli e Juve è rimasto seduto in panchina, poi una dozzina di minuti impalpabili col Monza e appena cinque a Genova; così Saponara da grande rinforzo è diventato il grande enigma di questo malconcio Verona. Nessuno ne parla, lui se ne sta in silenzio a corricchiare a bordo campo. Ora, però, ci pare sia venuto il momento di chiarire questo equivoco che si trascina da almeno tre mesi. Glissare sulla questione non si può più, e bisogna porre un rimedio: i casi sono due, o Saponara lo si recupera facendolo giocare con continuità o a gennaio lo si fa accomodare altrove, perché di enigmi (mettiamoci anche l’allenatore e il futuro della società) qui ce ne sono già sin troppi.

Poniamo che a gennaio resti: ebbene, il Verona soffre  maledettamente la penuria di uomini coi piedi buoni e visione che disegnino calcio in mezzo al campo; Saponara, che sulla trequarti soffre da matti, è un pesce fuor d’acqua che arranca per mancanza di dinamicità e scatto, magari a dispensar palloni da regista basso (cosa che il Verona non ha) affiancato da due sherpa a pieni polmoni, (bene vedremmo Terracciano, che è una mezzala naturale, e Folorunsho), potrebbe venire finalmente utile e rigenerarsi come è già successo a tanti enigmatici trequartisti prima di lui. Una pazza idea, certo, ma a questo punto di idee qui c’è bisogno come l’ossigeno. Direte; sarà disposto il “Riccardo (poco) cuor di leone” a mettersi in discussione in una nuova veste? Beh, spetta a Baroni chiederglielo. Noi l’idea la buttiamo lì e ci limitiamo a dire che, se come canta Vasco “questa storia un senso non ce l’ha”, forse è arrivata l’ora di provare almeno a dargliene uno.

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