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Tutta colpa d’Alfredo

Con il nuovo tecnico il Verona si è rianimato e ha ripreso a correre

Lorenzo Fabiano

Che tipo Alfredo Aglietti. State certi che su uno come lui Buffa non ci ricamerà mai un poema onirico, né Adani un sermone tattico. Troppo  uomo qualunque l’Alfredone, uno che con la fenomenologia delle tv poco o niente ci azzecca. E poi oggettivamente, un perticone dinoccolato con quel tutone operaio addosso, mica si può vedere. E dai…! A noi però, quelli un po’ così, quelli di tutti i giorni, ruvidi e genuini, piacciono. Sono come il vino schietto di Luigi Veronelli. Alfredo Aglietti non è venuto qui a sciroppare profezie da Mago Otelma, né a spiegarci le scienze del calcio nella noia del political-pallonese dei colletti bianchi con l’indice sull’I-Pad. Parla come mamma gli ha insegnato.

È da sempre domiciliato nella serie B avendola assiduamente frequentata sia da giocatore che da allenatore; appese le scarpe al chiodo, tra salvezze raggiunte ed esoneri servitigli, la sua carriera in panchina è sinora stata assai altalenante. Al suo arrivo a Verona ha trovato una squadra in stato comatoso, svuotata di ogni energia ed autostima, avvinghiata alle sue paure. Eppure lui, Verona la voleva. Fortemente. L’ha amata quando segnava con la maglia dell’Hellas, e sognava in cuor suo di ritornarci un giorno. L’opportunità gliel’ha data Setti quando la frittata tiki-takesca spadellata da Fabio Grosso gli è andata (e ce n’è voluto. Che esofago, presidente…!) di traverso.

Diciamo la verità, lo scetticismo che l’ha accolto era una piena dell’Adige che all’indomani del disastro nel giorno del debutto a Cittadella pareva esondare. E invece…piano piano e quatto quatto, Alfredone come Gesù ha rimesso in piedi il suo Lazzaro. E così il Verona si è rianimato e ha ripreso a correre. È ora in semifinale di un playoff dal quale ha seriamente rischiato di rimanere escluso. Poche cose e chiari concetti: Aglietti ha prima messo alfieri, cavalli e torri al loro posto sulla scacchiera per poi alzare le frequenze e conferire ritmo e intensità su linee verticali.  Su tutto, il cuore in mano. Quando pareva morto, ed eravamo pronti a scriverne un epitaffio non certo benevolo, il Verona ha trovato quell'anima, che mai in realtà quest’anno aveva mostrato.

Aglietti ha anche il merito di aver ripescato gente della quale stava per occuparsi Federica Sciarelli. E, giusto per non far nomi, ci riferiamo in primis a Samuel di Carmine e Karim Laribi, due oggetti misteriosi solo fino a un paio di settimane fa, oggi pienamente recuperati. Senza ricorrere a straordinarie alchimie, l’Alfredone ha messo la normalità della logica al centro del suo lavoro. Ma c’è di più. Il Verona di Grosso alla prima difficoltà annaspava e affogava nella sua cronica incapacità di soffrire. Questo, secondo noi, il suo peccato originale. Non aveva capito che è invece proprio la sofferenza a essere il karma di una tribù come quella dell’Hellas Verona. Già…soffrire come cani, per poi (a volte) gioire. E che male c’è…!

Sebbene sia oggi una città fiorente di grandi capitali, capitani d’industria, fior di professionisti, abbia un’ateneo di tutto rispetto, e sia meta di un turismo che in massa accorre da ogni angolo del globo ad ammirarne le bellezze, non dobbiamo mai dimenticare che Verona affonda le proprie radici nell’anima contadina, sinonimo di bucolico e umile sacrificio. La storia della sua squadra di calcio riflette quest’aspetto. Sudore, fatica, lacrime e polvere; ogni tanto, un bel raccolto vien pure fuori. La gente qui non ha fame di successo né tantomeno chiede vittorie per fare la conta dei trofei in bacheca con il pallottoliere: no, noi non siamo quella roba lì. La gente dell’Hellas Verona chiede proprio sudore, fatica, lacrime e polvere. In una parola, cuore. Pretende una squadra in cui rispecchiarsi. Serie A o meno, a noi questo Verona che ha finalmente  ritrovato la voglia di tornare in campo con zappa e rastrello piace un sacco. È la nemesi che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. È campagna abbandonata e fortunatamente riscoperta. E in campagna si sgobba. Se questo avviene, lui magari non lo sa, ma la colpa è tutta di Alfredo.

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