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TUTTI COLPEVOLI

Presidente, dirigenza, allenatore e giocatori: non si salva nessuno

Matteo Fontana

“Tutti colpevoli”, recitava lo striscione esposto fuori dal Bentegodi ieri sera. Il Verona, persa la partita con il Bologna, resta ultimo dopo dodici giornate. Non ha mai vinto. Ha il peggior attacco e la seconda peggior difesa del campionato. Tutti colpevoli, certo.

 

Colpevole Maurizio Setti, che ha rivoluzionato una struttura che funzionava e che in tre anni aveva condotto l’Hellas dalla B ad una duplice salvezza in Serie A. Che aveva prodotto risultati economici oltre che sportivi. Resta misterioso il motivo della scelta di allontanare Sean Sogliano e il suo staff. A conti fatti, la decisione è stata destabilizzante. A luglio il presidente dichiarò che l’obiettivo di questa stagione era fare un punto in più di quella precedente. Invece, già ora, se il Verona si salverà avrà fatto un miracolo per cui dovrà ringraziare le divinità del pallone.

 

Colpevole la coppia dirigenziale Giovanni Gardini-Riccardo Bigon. Il primo si è preso in carico, con l’uscita di scena di Sogliano – con cui, peraltro, da molto tempo non c’era feeling –, il compito di rielaborare l’Hellas 2.0 (o meglio, visto che si tratta di un’involuzione, 0.2). Se i risultati sono questi, gli sbagli sono stati molti. Bigon ha costruito una rosa incongrua. Non è arrivato un esterno veloce e di passo, come invece avrebbe voluto Andrea Mandorlini. E neppure un centrale difensivo rodato. Dietro, il Verona, negli ultimi due campionati in A, aveva incassato 133 gol. Poteva bastare l’Helander di turno per porre rimedio a una carenza tanto palese? Si faccia una domanda e si dia una risposta, per dirla con Marzullo. Senza dire dell’ingaggio di Federico Viviani per 4 milioni di euro a fronte di problemi fisici subito evidenti, non provvedendo a colmare la plausibile lacuna data dalla precarietà della sua condizione. Ah già: è stato preso, per l’occorrenza, Matuzalem. Non ci pare che basti.

 

Colpevole Andrea Mandorlini, che non ha mai cercato per davvero di sviluppare un sistema di gioco che gli consentisse di avere un “paracadute” nel caso in cui Luca Toni fosse incappato in qualche guaio fisico. Attenzione: non è una maledizione piovuta da qualche demonio l’infortunio del numero 9 gialloblù. Il fatto straordinario è che sia sempre stato al meglio in precedenza. Nemmeno il Napoli che fu era tanto dipendente da un giocatore, che si chiamava, tra l’altro, Diego Armando Maradona. Il Verona si è sgonfiato perso il proprio leader. E con lui il suo tecnico, che non mostra più il minimo cenno del temperamento che gli è stato accreditato, più mazzoniano che trapattoniano, se non per qualche risposta piccata alle (legittime) domande che vengono poste dalla stampa.

 

Colpevoli i giocatori, che si sciolgono alla prima difficoltà, che corrono senza il minimo ordine per il campo. Che trasformano in giganti avversari che, fino al giorno prima, erano alla ricerca di un’identità autentica. Che se fanno un tiro in porta già è roba da Guinness dei primati. Che hanno occhi di mucca e non di tigre, per seguire la leggendaria metafora di Julio Velasco. Che sono sconfitti già quando si comincia e di sicuro lo sono alla fine. Che ripetono, davanti ai microfoni, copioni da prontuario precompilato, improntato al “prima o dopo ne usciremo”, quando non allo “stiamo uniti”. A Verona si è sempre stati uniti, anche in C.

 

Un bel tacer non fu mai scritto. Tutti colpevoli.

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