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TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULL’HELLAS (E NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), QUINTA PARTE

Il "romanzo" degli anni bui dell'Hellas: dal passaggio da Arvedi a Martinelli al fallimento del progetto della fusione

Redazione Hellas1903

La macchina impazzita condotta da Jerzy Palik, polacco

che ha imboccato l’autostrada in stato di ebbrezza, dopo un pomeriggio passato

alla stazione di Bologna a bere, affranto per il mancato arrivo della donna che

ama, centra in pieno la Mercedes che Piero Arvedi ha fermato in corsia

d’emergenza, di ritorno da Cesena, dove l’Hellas ha perso per 2-1. Aspetta

soccorsi il conte, perché ha finito la benzina: manca poco alle otto di sera, è

il 21 dicembre 2008. L’impatto è violentissimo, Arvedi riporta danni gravissimi.

Viene trasportato d’urgenza all’ospedale “Carlo Poma” di Mantova, privo di

sensi.Il tremendo incidente di cui è vittima Arvedi blocca

il puzzle della fusione che incombe. Con il patron dell’Hellas che viene

trasferito a Borgo Trento, in coma, la cessione (e l’unione) non può essere

completata. Di impiegabile, per proseguire nell’affare, c’è solo quella lettera

d’intenti che è stata firmata il venerdì precedente il terribile scontro sulla

A22. Senza Arvedi, Massimiliano Andreoli non ha più un interlocutore con cui

parlare per cercare di entrare nell’Hellas. Tutto viene coordinato dai tecnici

delle parti: lo studio Belluzzo per Martinelli, Giampaolo Fogliardi e

l’avvocato Giacopuzzi come rappresentanti di Arvedi.

 

Martinelli, già. Quando viene chiamato per

confermare la trattativa, nega qualsiasi coinvolgimento: “Non so niente di

tutta questa storia”. Una smentita di facciata, chiaro. Martinelli da mesi ha

con sé, come consigliere tecnico, Massimo Ficcadenti, che ha deciso di tentare

la via dirigenziale e che, tuttavia, è prima tenuto all’oscuro e poi è

completamente contrario a ogni ipotesi di fusione. Ma i contatti tra Martinelli

e Campedelli sono frequentissimi, in

pectore l’unione è già una certezza. Un intreccio che in pochi avevano

ravvisato e che, in autunno, era stato evidenziato in un volantino di protesta vergato

dalla Curva Sud, che portava allo scoperto i giochi che si svolgevano sopra la

testa dell’Hellas.Nello studio Belluzzo, da qualche tempo, è entrato

anche Davide Bovo. Professionista esperto di materie bancarie, segue l’ultima

fase di passaggio di proprietà. Dopo una vera e propria odissea

giuridico-burocratica, l’Hellas cambia proprietario il 30 gennaio 2009, ceduto

dalla Arilicense di Piero Arvedi, che versa sempre in drammatiche condizioni in

ospedale, alla Mastino di Martinelli. In un bar fuori dall’ufficio di Belluzzo,

in stradone San Fermo, si sprecano i brindisi. Anche perché, in mattinata,

c’era stato il pericolo concreto che tutto franasse: davanti al tribunale che

doveva dare l’autorizzazione alla cessione, consentendo al Verona di evitare un

fallimento altrimenti sicuro, era stato depositato un assegno di otto milioni

di lire di un non meglio delineato gruppo di Fregene. Martinelli, a quel punto,

non solo si appoggia ai suoi tecnici: chiama anche Luca Campedelli, per avere

un consiglio su come muoversi. Ma la situazione si risolve a fronte della

palese poca attendibilità dell’offerta venuta dal Lazio. E il Verona ha un

nuovo padrone.D’ora in avanti, l'unico ostacolo per coloro che spingono per la

fusione è il tempo. Pochi mesi, la fine della stagione agonistica e poi

l’annuncio. Ma bisogna preparare l’aria. Se ne dovrebbe occupare proprio Bovo,

consigliere delegato insieme ad un altro specialista di economia, un brasiliano

di Rio de Janeiro, tifoso del Fluminense e braccio destro di Martinelli nella

cura delle sue aziende: Benito Siciliano. Siciliano e Ficcadenti fanno muro

unico contro l’accorpamento tra Hellas e Chievo, Bovo contatta la tifoseria

organizzata per propagandare quella che viene definita come una “possibilità”. Gira

per le cene dei Calcio Clubs, Bovo. Ma prima, appena quattro giorni dopo

l’acquisizione del Verona, è lui ad accompagnare Martinelli in udienza da

Flavio Tosi, a Palazzo Barbieri. E il primo argomento ad essere toccato è la

questione dello stadio: “Massima disponibilità a discuterne per quel che ci

riguarda. Ma prima ci vuole una squadra forte”. Mentre, quando a Martinelli

viene chiesto conto delle sempre più insistenti indicazioni su una fusione già

programmata, Bovo interrompe il cronista e gli ricorda che “senza Martinelli il

Verona sarebbe già fallito”, invitandolo ad andare “a leggersi come funziona il

lodo Petrucci”. Al venerdì sempre Bovo, con Martinelli, partecipa ad una

trasmissione televisiva. Uno spettatore aspetta che la sua chiamata venga

passata in diretta, è in ascolto e sente limpidamente una lamentela sulla

scarsa (eufemismo) disponibilità dei tifosi dell’Hellas ad accettare la

fusione.Ed è questo il punto di svolta. Il no che viene

dalla piazza. Sottovalutata dai teorici dell’unione tra Verona e Chievo. Bovo

va avanti a spron battuto, non si rende conto di quanto il progetto sia già

deragliato prima di essere messo in pista. Il 17 febbraio, alla cena del Calcio

Club Butei Cin Cin, in un ambiente in cui il tasso alcolico è largamente al di

sopra dei limiti di legge, prende la parola. E, tra alcuni giri di parole e una

serie di perifrasi, il “dico non dico” fa emergere la verità: il traguardo

cercato e voluto è la fusione. I tifosi presenti, increduli, sospettano di

essere stati sorpresi da qualche bicchiere di troppo. Ma Bovo conferma,

ricorrendo ad una metafora: “Se volete andare a Roma preferite prendere la

bicicletta o salire sull’aereo?”. Roma è la serie A, il calcio palancaio. Un

nuovo stadio, chissà. La bicicletta è la strada normale, da percorrere dalla

Prima Divisione in cui si trova l’Hellas. L’aereo è la fusione.

 

Chi vi scrive, quella sera, ebbe uno scontro a muso

duro con Davide Bovo, annunciandogli che quel progetto, tenuto segreto fino a

quel momento, sarebbe stato svelato sulle pagine del “Corriere di Verona” al

più presto. Bovo, la mattina seguente, chiese negli uffici dell’Hellas il

numero di telefono dei capi del vostro cronista, per lamentarsi dell’“eccesso” di

aggressività e del comportamento “da tifoso e non da giornalista”. La persona

con cui Bovo parlò lo invitò a chiamare direttamente l’interessato, senza

ricorrere a terzi o ad altri metodi. E, così, intorno alle dieci di mattina,

arrivò questa chiamata in cui il consigliere delegato dell’Hellas cercava di

spiegare come fosse il calcio moderno, di quanto incidessero i costi e che era

durissima condurre una società senza introiti, com’era il Verona in quel

momento, e con tanto di costi pregressi che erano emersi senza che fossero previsti.

La risposta che ebbe fu un semplice “se si compra una squadra di calcio si deve

sapere prima come funziona. Sennò si lascia stare”. Visto che ormai il virtuale bubbone era esploso, era

anche scoppiata l’animazione tra i tifosi. All’antistadio in alcune decine, al

pomeriggio, si radunarono in alcune decine. A seguire gli sviluppi della

vicenda, completamente fuori controllo per i “fusionisti” dei salotti buoni, si

presentò anche una troupe della Rai, che raccolse opinioni inferocite di

sostenitori dell’Hellas infuriati di fronte a quella che era una probabilità

crescente per il futuro. E ci fu una riunione a ranghi ridotti, nel parterre

del Bentegodi, in cui Massimo Ficcadenti, telegraficamente, illustrò a una

ristretta cerchia di amici e conoscenti, nella tifoseria e nella stampa, quello

che era il panorama. Ma era già lapalissiano che qualcosa era cambiato sul

serio, in quelle ore.

 

Martinelli chiamò Campedelli e gli disse che non se

ne faceva più nulla, che sarebbe andato avanti da solo, con l’Hellas. Una

scelta che suscitò lo stupore del presidente del Chievo, visto che tutto

sembrava ormai fatto. Bovo fu spostato ad altre mansioni: soltanto mesi dopo fu

ufficiale la sua uscita dal Verona, ma già la sera seguente la sua

partecipazione a quella ormai celeberrima cena dei Butei Cin Cin, venne messo

da parte. L’Hellas proseguiva sulle proprie gambe, i tifosi, forse neppure del

tutto consapevolmente, avevano vinto il duello contro i poteri forti e il

calcio d’affari. Ma tanto ancora sarebbe accaduto negli anni successivi, e

prima di arrivare ad oggi.

 (5. Continua)Matteo Fontana

 

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