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La macchina impazzita condotta da Jerzy Palik, polacco
che ha imboccato l’autostrada in stato di ebbrezza, dopo un pomeriggio passato
alla stazione di Bologna a bere, affranto per il mancato arrivo della donna che
ama, centra in pieno la Mercedes che Piero Arvedi ha fermato in corsia
d’emergenza, di ritorno da Cesena, dove l’Hellas ha perso per 2-1. Aspetta
soccorsi il conte, perché ha finito la benzina: manca poco alle otto di sera, è
il 21 dicembre 2008. L’impatto è violentissimo, Arvedi riporta danni gravissimi.
Viene trasportato d’urgenza all’ospedale “Carlo Poma” di Mantova, privo di
sensi.Il tremendo incidente di cui è vittima Arvedi blocca
il puzzle della fusione che incombe. Con il patron dell’Hellas che viene
trasferito a Borgo Trento, in coma, la cessione (e l’unione) non può essere
completata. Di impiegabile, per proseguire nell’affare, c’è solo quella lettera
d’intenti che è stata firmata il venerdì precedente il terribile scontro sulla
A22. Senza Arvedi, Massimiliano Andreoli non ha più un interlocutore con cui
parlare per cercare di entrare nell’Hellas. Tutto viene coordinato dai tecnici
delle parti: lo studio Belluzzo per Martinelli, Giampaolo Fogliardi e
l’avvocato Giacopuzzi come rappresentanti di Arvedi.
Martinelli, già. Quando viene chiamato per
confermare la trattativa, nega qualsiasi coinvolgimento: “Non so niente di
tutta questa storia”. Una smentita di facciata, chiaro. Martinelli da mesi ha
con sé, come consigliere tecnico, Massimo Ficcadenti, che ha deciso di tentare
la via dirigenziale e che, tuttavia, è prima tenuto all’oscuro e poi è
completamente contrario a ogni ipotesi di fusione. Ma i contatti tra Martinelli
e Campedelli sono frequentissimi, in
pectore l’unione è già una certezza. Un intreccio che in pochi avevano
ravvisato e che, in autunno, era stato evidenziato in un volantino di protesta vergato
dalla Curva Sud, che portava allo scoperto i giochi che si svolgevano sopra la
testa dell’Hellas.Nello studio Belluzzo, da qualche tempo, è entrato
anche Davide Bovo. Professionista esperto di materie bancarie, segue l’ultima
fase di passaggio di proprietà. Dopo una vera e propria odissea
giuridico-burocratica, l’Hellas cambia proprietario il 30 gennaio 2009, ceduto
dalla Arilicense di Piero Arvedi, che versa sempre in drammatiche condizioni in
ospedale, alla Mastino di Martinelli. In un bar fuori dall’ufficio di Belluzzo,
in stradone San Fermo, si sprecano i brindisi. Anche perché, in mattinata,
c’era stato il pericolo concreto che tutto franasse: davanti al tribunale che
doveva dare l’autorizzazione alla cessione, consentendo al Verona di evitare un
fallimento altrimenti sicuro, era stato depositato un assegno di otto milioni
di lire di un non meglio delineato gruppo di Fregene. Martinelli, a quel punto,
non solo si appoggia ai suoi tecnici: chiama anche Luca Campedelli, per avere
un consiglio su come muoversi. Ma la situazione si risolve a fronte della
palese poca attendibilità dell’offerta venuta dal Lazio. E il Verona ha un
nuovo padrone.D’ora in avanti, l'unico ostacolo per coloro che spingono per la
fusione è il tempo. Pochi mesi, la fine della stagione agonistica e poi
l’annuncio. Ma bisogna preparare l’aria. Se ne dovrebbe occupare proprio Bovo,
consigliere delegato insieme ad un altro specialista di economia, un brasiliano
di Rio de Janeiro, tifoso del Fluminense e braccio destro di Martinelli nella
cura delle sue aziende: Benito Siciliano. Siciliano e Ficcadenti fanno muro
unico contro l’accorpamento tra Hellas e Chievo, Bovo contatta la tifoseria
organizzata per propagandare quella che viene definita come una “possibilità”. Gira
per le cene dei Calcio Clubs, Bovo. Ma prima, appena quattro giorni dopo
l’acquisizione del Verona, è lui ad accompagnare Martinelli in udienza da
Flavio Tosi, a Palazzo Barbieri. E il primo argomento ad essere toccato è la
questione dello stadio: “Massima disponibilità a discuterne per quel che ci
riguarda. Ma prima ci vuole una squadra forte”. Mentre, quando a Martinelli
viene chiesto conto delle sempre più insistenti indicazioni su una fusione già
programmata, Bovo interrompe il cronista e gli ricorda che “senza Martinelli il
Verona sarebbe già fallito”, invitandolo ad andare “a leggersi come funziona il
lodo Petrucci”. Al venerdì sempre Bovo, con Martinelli, partecipa ad una
trasmissione televisiva. Uno spettatore aspetta che la sua chiamata venga
passata in diretta, è in ascolto e sente limpidamente una lamentela sulla
scarsa (eufemismo) disponibilità dei tifosi dell’Hellas ad accettare la
fusione.Ed è questo il punto di svolta. Il no che viene
dalla piazza. Sottovalutata dai teorici dell’unione tra Verona e Chievo. Bovo
va avanti a spron battuto, non si rende conto di quanto il progetto sia già
deragliato prima di essere messo in pista. Il 17 febbraio, alla cena del Calcio
Club Butei Cin Cin, in un ambiente in cui il tasso alcolico è largamente al di
sopra dei limiti di legge, prende la parola. E, tra alcuni giri di parole e una
serie di perifrasi, il “dico non dico” fa emergere la verità: il traguardo
cercato e voluto è la fusione. I tifosi presenti, increduli, sospettano di
essere stati sorpresi da qualche bicchiere di troppo. Ma Bovo conferma,
ricorrendo ad una metafora: “Se volete andare a Roma preferite prendere la
bicicletta o salire sull’aereo?”. Roma è la serie A, il calcio palancaio. Un
nuovo stadio, chissà. La bicicletta è la strada normale, da percorrere dalla
Prima Divisione in cui si trova l’Hellas. L’aereo è la fusione.
Chi vi scrive, quella sera, ebbe uno scontro a muso
duro con Davide Bovo, annunciandogli che quel progetto, tenuto segreto fino a
quel momento, sarebbe stato svelato sulle pagine del “Corriere di Verona” al
più presto. Bovo, la mattina seguente, chiese negli uffici dell’Hellas il
numero di telefono dei capi del vostro cronista, per lamentarsi dell’“eccesso” di
aggressività e del comportamento “da tifoso e non da giornalista”. La persona
con cui Bovo parlò lo invitò a chiamare direttamente l’interessato, senza
ricorrere a terzi o ad altri metodi. E, così, intorno alle dieci di mattina,
arrivò questa chiamata in cui il consigliere delegato dell’Hellas cercava di
spiegare come fosse il calcio moderno, di quanto incidessero i costi e che era
durissima condurre una società senza introiti, com’era il Verona in quel
momento, e con tanto di costi pregressi che erano emersi senza che fossero previsti.
La risposta che ebbe fu un semplice “se si compra una squadra di calcio si deve
sapere prima come funziona. Sennò si lascia stare”. Visto che ormai il virtuale bubbone era esploso, era
anche scoppiata l’animazione tra i tifosi. All’antistadio in alcune decine, al
pomeriggio, si radunarono in alcune decine. A seguire gli sviluppi della
vicenda, completamente fuori controllo per i “fusionisti” dei salotti buoni, si
presentò anche una troupe della Rai, che raccolse opinioni inferocite di
sostenitori dell’Hellas infuriati di fronte a quella che era una probabilità
crescente per il futuro. E ci fu una riunione a ranghi ridotti, nel parterre
del Bentegodi, in cui Massimo Ficcadenti, telegraficamente, illustrò a una
ristretta cerchia di amici e conoscenti, nella tifoseria e nella stampa, quello
che era il panorama. Ma era già lapalissiano che qualcosa era cambiato sul
serio, in quelle ore.
Martinelli chiamò Campedelli e gli disse che non se
ne faceva più nulla, che sarebbe andato avanti da solo, con l’Hellas. Una
scelta che suscitò lo stupore del presidente del Chievo, visto che tutto
sembrava ormai fatto. Bovo fu spostato ad altre mansioni: soltanto mesi dopo fu
ufficiale la sua uscita dal Verona, ma già la sera seguente la sua
partecipazione a quella ormai celeberrima cena dei Butei Cin Cin, venne messo
da parte. L’Hellas proseguiva sulle proprie gambe, i tifosi, forse neppure del
tutto consapevolmente, avevano vinto il duello contro i poteri forti e il
calcio d’affari. Ma tanto ancora sarebbe accaduto negli anni successivi, e
prima di arrivare ad oggi.
(5. Continua)Matteo Fontana
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