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TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULL’HELLAS (E NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)

La versione completa del "romanzo" degli anni bui del Verona

Redazione Hellas1903

Ha fatto discutere la ricostruzione che, nelle scorse settimane, abbiamo pubblicato delle vicende societarie dell'Hellas dall'uscita di scena di Giambattista Pastorello fino all'insediamento di Maurizio Setti. Dal 2005 al 2012, sette anni oscuri per il Verona, trascorsi perlopiù nelle paludi della C1-Lega Pro, con la sparizione a un passo, con la fusione col Chievo voluta dai poteri forti cittadini. In un momento in cui l'Hellas pianifica il ritorno ad ambizioni più sonanti, c'era parso sensato guardare in retrospettiva al passato. L'abbiamo fatto attraverso dieci puntate, dieci racconti separati che ora, per praticità, riuniamo in un'unica versione. La storia di un club si misura con i chiaroscuro, con le luci e le ombre che si intersecano. Una "piccola patria" che deve essere vista in un ambito più ampio, per capire come e perché si è arrivati ad essere quel che si è. Questa è la nostra lettura di uno spaccato gialloblù che ha segnato un'epoca nel bene e nel male. E, nei prossimi giorni, sotto il virtuale ombrellone di Ferragosto, vi proporremo una valutazione, uno per uno, dei personaggi che hanno animato questo "plot" shakesperiano. Essendo a Verona, non potrebbe andare altrimenti.Era settembre. L'anno il 2006, e

Giambattista Pastorello incontrò Renzo Barcè, già presidente del Treviso dal

1997 al 2001, con cui era legato da buoni rapporti, e gli disse: "Ce l'ho

fatta, ho venduto il Verona. E mi sono tolto un peso". Il Verona, di cui

Pastorello era stato proprietario dal 1998 fino a quel giorno, era passato

nelle mani di Piero Arvedi. Il conte, già socio di minoranza del club, aveva

rilevato l'intero pacchetto azionario dell'Hellas. Il fallimento era prossimo

ad avvenire: in mancanza di risorse, si sarebbe materializzato nel giro di

pochi mesi. Il Verona sarebbe ripartito da un campionato minore (all'epoca era

in B) e a Pastorello, sulla base del lodo Petrucci, non avrebbe più potuto

svolgere mansioni dirigenziali in una società calcistica.

Arvedi salvò l'Hellas e la carriera

professionale del suo vecchio amico, con cui le relazioni si erano incrinate

dopo che Pastorello aveva dato il suo okay, come presidente del Verona, al

progetto di un nuovo stadio alla Spianà. Un'idea a cui partecipavano i

costruttori Mazzi e Lonardi insieme a Luca Campedelli, numero uno del Chievo.

Arvedi, al contrario, aveva un altro piano: un impianto nella zona della Cava

Speziala, a San Massimo, con orti botanici e percorsi nel verde, su disegno

dell'architetto Ardielli e su terreni in gran parte di proprietà della Curia.La

mossa di Pastorello aveva scatenato le ire di Arvedi. Ma la frattura fra di

loro, palese in pubblico, si era ricomposta in privato. Tant'è che quando il

conte fu operato al cuore, poche settimane prima di definire l'acquisto del

Verona, al suo capezzale, all'ospedale di Peschiera, c'era Elena Albertini,

allora moglie di Pastorello, il quale si recò, accolto con calore, a trovare

Arvedi, insieme a Peppe Cannella.Cannella, appunto. Il Verona del

conte aveva in questo dirigente venuto da Nocera Inferiore, con un passato tra

Salernitana e Cagliari, il plenipotenziario. Ad Arvedi era stato presentato da

ambienti politici, nella persona di Paolo Bellieni, uomo del Pdl di Vicenza,

con cui Cannella, che aveva una ditta di occhiali, era entrato in contatto per

un'esposizione fieristica nella città berica.In tutto questo emerse uno smacco

forte per Massimo Ficcadenti, allenatore del Verona che era rimasto all'Hellas

dopo aver chiuso un accordo per il trasferimento al Brescia. Ma alcune pendenze

contrattuali nei suoi confronti da parte di Pastorello l'avevano indotto a non

firmare la rescissione del vincolo che, per altre due stagioni, lo legava alla

società allora di Corte Pancaldo. Ficcadenti era rimasto, ma Cannella non lo

voleva vedere neanche a distanze siderali. Poco meno che debuttante in panchina,

nel 2002, l'agente Mino Raiola aveva interpellato Cannella, da sempre vicino

all'ex proprietario del Foggia e della Salernitana Pasquale Casillo, appena

entrato in possesso dell'Avellino, per chiedergli se in Irpinia non potessero

essere interessati ad avere come tecnico Ficcadenti, a sua volta amico di

Raiola. La richiesta fu esaudita, ma Cannella imputò a Ficcadenti di non essere

stato sufficientemente "riconoscente" nei suoi confronti. Inoltre

l'esperienza dell'allenatore ad Avellino durò poco: già ad agosto se ne andò

dopo dei contrasti con la dirigenza campana. Al Verona l'aveva portato Mauro

Gibellini, che era rimasto impressionato dal suo 4-3-3 alla Pistoiese, nel

2003-2004. Ficcadenti, in quell'Hellas che il Gibo costruì con i pochi euro

concessigli, superò ogni diffidenza e a fine andata la squadra era in piena

zona playoff. Ma Pastorello non accettò di cedere la società all'imprenditore

lombardo Barzaghi, spalleggiato da Alessandro De Blasi, manager di origine romane.

Gibellini, che si era esposto per la cordata che voleva subentrare, fu tagliato

fuori da Pastorello, con cui andò in causa. Le sue ragioni vennero riconosciute

e il Verona gli dovette pagare lo stipendio fino alla fine del 2005 e l'utenza

telefonica.

 Intanto Ficcadenti aveva rinnovato

con l'Hellas. Un triennale, dopo aver declinato le richieste di Catania e

Cagliari. Pastorello gli riconobbe un bonus insolito e particolare: una

percentuale sulla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita dei

giocatori ingaggiati. Un patto che, quando Arvedi divenne patron, Cannella

rinfacciò a Ficcadenti. Nel pranzo prenatalizio del 2006, con il Verona

relegato nella bassa classifica, con 11 punti e un desolante score di 6 gol

fatti nelle prime 17 partite, il direttore sportivo esclamò: "Ficcadenti

dice di essere nemico di Pastorello, in realtà è stato un suo

socio". 

 Nel frattempo Cannella aveva attratto

il malumore dello spogliatoio verso l'allenatore, che aveva già rischiato

l'esonero dopo la sconfitta interna di ottobre con l'AlbinoLeffe. In preallarme

c'era Colomba, ma il Verona si riscattò pareggiando col Genoa (di cui era

diventato dg Pastorello...) e vincendo a Vicenza. Al Menti, nel dopogara, un

Arvedi commossò dichiarò a Sky: "Ho il miglior allenatore al mondo".

Al lunedì, a Cavalcaselle, nella villa del conte, a Ficcadenti e al suo staff

fu offerto un banchetto con ostriche per festeggiare. Cannella incassò il colpo

e riprese a tessere la sua tela. E Ficcadenti, tempo dopo, si pentì di non aver

chiesto proprio quel giorno ad Arvedi di mettere alla porta il diesse.

 

I risultati che seguirono furono

pessimi. I giocatori avevano marcato la distanza con l'allenatore. D'altronde

Italiano, che già in estate avrebbe voluto passare al Chievo, aveva ricevuto

l'assicurazione che a gennaio sarebbe stato lasciato partire per accasarsi alla

corte di Luca Campedelli. E ad agosto, nel corso di un'amichevole a Zevio,

Ficcadenti aveva "attaccato al muro" pubblicamente il giocatore, che

aveva manifestato davanti ai compagni il suo desiderio di andarsene.

Frizioni forti che si allargarono a

macchia d'olio. Ficcadenti venne isolato, Cannella vinse la sua personale

battaglia: dopo lo 0-3 del Bentegodi con il Mantova scattò il licenziamento. Ma

già il giorno prima di quella gara (in programma il venerdì) era stato

comunicato al gruppo dei calciatori che Ficcadenti non sarebbe più stato il

loro allenatore. E il compiacimento di molti segnò l'esito definitivo

dell'avvenimento. 

 

Nel contempo, Arvedi aveva azzerato

il CdA dell'Hellas e si era preso in prima persona la carica di presidente,

lasciata prima a Sergio Puglisi Maraja, prima tifoso e poi legale del Verona.

Nel frattempo Casillo, tramite Cannella, si era fatto avanti per entrare in

società con il conte, che tentennò e tenne per sé per intero il club.Il Verona

fu affidato a Giampiero Ventura. Ficcadenti tenne un'affollata conferenza

aperta ai tifosi all'hotel San Marco. E Cannella, di fatto, si era preso le

chiavi dell'Hellas: Arvedi aveva la cassa, ma il burattinaio nella stanza dei

bottoni era un altro.

 

21 giugno 2007. L’ultimo tentativo

dell’Hellas di scardinare la difesa dello Spezia è andato a vuoto. Un altro

miracolo di Santoni, l’assalto con il “tutti su” non porta a nulla. Arriva il

fischio finale dell’arbitro, il signor Rizzoli di Bologna. Il Verona è in serie

C. Una categoria in cui non si ritrovava da 64 anni. In 25mila applaudono

ugualmente. Da larga parte della tifoseria quel gesto sarà poi spiegato non

tanto come una resa d’onore alla squadra piuttosto che a Giampiero Ventura,

dopo quella sconfitta ai playout, seguita ad una lunga rimonta in classifica,

quanto l’espressione di un orgoglio gialloblù da professore nel momento più

difficile. Lo 0-0 del ritorno, dopo il 2-1 dell’andata, affossa l’Hellas.

Mentre Arvedi sbuca in tribuna stampa per colpire con un pugno (un gesto poco

dannoso nei fatti, ma sintomatico dello stato d’animo del momento) un

giornalista “colpevole” di aver denunciato i passaggi a vuoto della sua

gestione e la delega di potere a Cannella, parte la grande domanda: che ne sarà

del Verona?

 Flavio Tosi è stato appena eletto con

una montagna di voti nuovo sindaco. Il supporto, per lui, è stato trasversale.

Per la sua candidatura, a discapito di quella già stabilita nel centrodestra di

Alfredo Meocci, c’è stato un summit, a Cisano, con Silvio Berlusconi e Umberto

Bossi. Capitani d’industria locali non nascondono il proprio gradimenti per

lui: ad esempio la famiglia di costruttori edili Mazzi ha versato un contributo

dichiarato di 10mila euro per appoggiarlo Ma a lui hanno inneggiato dalla curva

Sud, con un coro eloquente: “Tosi sindaco! Tosi sindaco”, che richiama l’urlo

di battaglia dedicato a Preben Elkjaer negli anni ruggenti dell’Hellas. Tosi si

dichiara tifoso doc del Verona ed è a lui che viene rivolto il primo appello di

Arvedi: “Ho bisogno di una mano”, dice il conte a Tosi. Lo stesso Arvedi che

era stato tra i primi a chiamare Tosi per congratularsi, telefonando al suo

ufficio politico, a fine maggio, per la sua ascesa a Palazzo Barbieri. Due

giorni dopo la retrocessione i due si incontrano a Cavalcaselle. Il conte è

esausto, stremato. Tosi gli assicura aiuto. Si dichiara pronto ad allestire un

tavolo per coinvolgere nella conduzione del Verona altri imprenditori.

E intanto il sindaco viene contattato anche

da alcuni sostenitori eminenti dell’Hellas che gli chiedono udienza. L’incontro

avviene a luglio, la mattina presto, in municipio. E il sindaco illustra una

situazione preoccupante: il Verona non attira interesse, il futuro è torbido.

L’unico a riuscire a fare calcio di un livello adeguato in città è Luca

Campedelli, con il Chievo, per quanto sia appena retrocesso a sua volta in

serie B. Una specie di “indicazione” che viene lasciata cadere senza essere

considerata dagli interlocutori del sindaco, mentre parte la girandola di nomi

come possibili nuovi soci dell’Hellas. Il più gettonato è quello di

Massimiliano Andreoli, industriale di Buttapietra, amico di Mino Raiola e di

Massimo Ficcadenti attraverso un altro agente, Tubaldo, e titolare di una ditta

di allestimento rimorchi, molto legato ad alcuni settori della tifoseria.

Andreoli durante una festa della Lega Nord ad Oppeano, incontra pubblicamente

Tosi, con cui viene fotografato sorridente e fiducioso sull’esito della scalata

all’Hellas.   Ma il Verona è sempre nelle mani di Cannella, più ancora che

in quelle di Arvedi. Il direttore sportivo, che si è dato

un personale 8 in pagella per quanto fatto all’Hellas, è la controparte della

trattativa nascente con Andreoli. Con lui deve parlare chiunque voglia

avvicinarsi, in qualsiasi forma, alla società. E, per la cessione del Verona,

con tutti i costi a carico dell’acquirente, la richiesta è di 16 milioni di

euro. Andreoli si ritira indignato dopo aver tenuto una conferenza stampa in un

ristorante di Buttapietra. Ma, in questa storia, è destinato a ritornare in

scena altre volte.   Il campionato di C1 comincia. Il Verona, con Franco

Colomba in panchina (già, lo stesso tecnico che, prima di Ventura, Cannella

avrebbe voluto per rimpiazzare Ficcadenti). Emergono voci, più che verificate,

secondo cui alcuni calciatori dell’Hellas, due giorni prima dello spareggio di

ritorno con lo Spezia, sarebbero stati visti far bagordi a Valeggio sul Mincio.

Una crepa che allarga la distanza con la squadra. A fine agosto Iunco va al

Chievo, che ottiene il via libera anche per Turati, il quale rifiuta il

trasferimento e passa al Cesena per timore delle reazioni della tifoseria

dell’Hellas nei suoi confronti. Cannella, che aveva parlato di un Verona “Juve della

C”, deve misurarsi con una realtà sempre più furiosa. I risultati sono

disastrosi, in men che non si dica l’Hellas si allontana dalle prime posizioni.

Alla quarta di campionato perde a Sassuolo e Cannella, il giorno dopo, rassegna

le dimissioni.Arvedi incassa il colpo con timore e

sofferenza. Si sente sempre più accerchiato. Il Comune, inoltre, lo mette sotto

pressione, chiedendogli di rientrare dell’esposizione debitoria per affitti

dello stadio non pagati. Il conte chiama inferocito Tosi e l’assessore comunale

allo sport, Federico Sboarina, accusandoli di “averlo rovinato”. Ma resta al

comando, collocando il responsabile del settore giovanile del Verona, Riccardo

Prisciantelli, nel ruolo di direttore sportivo. Ma, per la prima volta, Arvedi

decide che l’Hellas sta diventando troppo per lui. Abbandona la traccia

lasciata dalla politica e si mette a sondare in prima persona eventuali

investitori, mentre la squadra va sempre più a fondo.   Cacciato Colomba,

il nuovo allenatore, a ottobre, è Davide Pellegrini, prima alla Berretti,

suggerito da Prisciantelli. C’è qualche piccolo miglioramento, ma è chiaro che

il Verona dovrà pensare solamente a salvarsi senza altri rischi. Una

contestazione, peraltro pacifica, all’antistadio, con l’incursione di un manipolo

di tifosi che invita i giocatori ad andare a lavorare nell’azienda agricola di

Arvedi, viene interrotta dopo che proprio la dirigenza dell’Hellas chiama

frettolosa la polizia. Si susseguono vicende che superano il

farsesco: in una trasmissione radiofonica parlano, assicurando di aver rilevato

il Verona, i fratelli Paolo e Francesco Carino, avellinesi che, dopo pochi

giorni, spariscono nel nulla,  e su cui serve una breve digressione che ci

porta all’attualità.   Due settimane fa, il 16 luglio, i due sono

riemersi, recuperando, loro malgrado, le pagine dei giornali. I Carino sono

stati arrestati, accusati di associazione per delinquere finalizzata alla

truffa. I due rintracciavano imprenditori in difficoltà e, chiedendo somme di

denaro, garantivano finanziamenti dagli importi ben più sostanziosi di quelli

versati. Le somme non venivano mai recapitate. Da qui una lunga serie di

denunce da parte dei truffati che hanno condotto agli arresti.I Carino avevano

già cercato di acquistare l’Avellino, nel 2007, e per essere più credibil si

presentavano agli appuntamenti con vetture  come Maserati e Ferrari. E nei

loro studi (sparsi in tutta Italia e in Spagna) erano incorniciate tantissime

fotografie che li ritraevano insieme a personaggi illustri. Come riportano gli organi

di stampa irpini, Ce n’era addirittura una in cui ricevevano il Leone D’Oro e

il ritaglio di un articolo di giornale in cui si leggeva “Anche Sanremo premia

i fratelli Carino”.E, nel frattempo, nelle sale del

potere cittadino, qualcosa si muove. Il progetto dello stadio si fa largo come

un toccasana per molti notabili. L’Hellas, che naviga nella più profonda delle

crisi, può essere la password per realizzare il piano. Ma non da solo. Perché,

a Verona, c’è anche un’altra squadra. Due club sono troppi per mettersi

d’accordo. Così, con Arvedi che intreccia una trattativa con una misteriosa

cordata di imprenditori lombarda della sponda bresciana del lago di Garda, nei

palazzi della finanza e del credito c’è un’idea che si rafforza e che è

racchiusa in una parola che, per adesso, è solamente un sussurro da tenere

segreto: fusione. Al Chievo lo sapevano tutti. La

confidenza emerse per la prima volta nell’entourage di Luca Campedelli, durante

la trasferta di Rimini, a marzo 2008. In via Galvani vedevano avvicinarsi una

promozione in carrozza in serie A, dopo un solo anno di purgatorio. Al

presidente avevano offerto il Verona. Ma non avrebbe dovuto lasciare il club

della Diga, che conduceva da più di quindici anni, dopo aver raccolto il

testimone dal padre Luigi, improvvisamente scomparso. Sarebbe rimasto il

Chievo, ci sarebbe stata un’unione con l’Hellas.

 

La fusione, appunto.   Voluta

dai cosiddetti poteri forti di Verona.  Alta finanza e politica.

L’imprenditoria più influente, che a quelle fonti si abbeverava e con cui

c’erano i più stretti rapporti d’affari. Gli stessi circoli che sognavano una

squadra unica in città, che unisse il seguito dell’Hellas con la buona

reputazione nazionale e l’accorta capacità di gestione del Chievo. Calcio in

laboratorio, già, ma business is business, baby. D’altronde il Verona era sul

punto di sparire. La retrocessione in C2 era in agguato, Piero Arvedi non aveva

più linee di credito. Sarebbe finito l’Hellas, sarebbe nato qualcos’altro. In

A, con i soldi delle televisioni e soprattutto con il progetto di uno stadio

nuovo e con tutto quello che sarebbe sorto sull’area di quello vecchio. Un passo per volta. Già, intanto c’è

da capire che cosa fosse accaduto tra l’autunno e l’inverno, a cavallo tra il

2007 e il 2008. Arvedi aveva chiuso la vendita del Verona a un sedicente gruppo

lombardo. Aveva già anticipato la cessione, in attesa di formalizzarla, senza

rivelare i nomi degli acquirenti. Unico indizio, la voce con accento bresciano

del presunto nuovo padrone dell’Hellas, che Arvedi passò al telefono a un

caporedattore di un giornale locale dopo una cena. Ne venne fuori una specie di

detective story in cui ogni organo di stampa, al pari di ogni chiacchierone da

bar, avanzò teorie sulla natura dei compratori. La maschera cadde a fine

novembre: il Verona passava nelle mani di tal Giovambattista Lancini. Chi era

costui? Titolare di alcune ditte svuotate di qualsiasi valore, si scoprì

subito, immobiliari sconosciute, idee appannate. Quando la sua precaria

affidabilità emerse, per giorni non rispose al telefono. Una sera chi scrive

queste pagine ricevette un lungo sms in cui Lancini diceva di essersi assentato

per sistemare delle questioni tecniche, che la trattativa non era conclusa ma

che si sarebbe fatto vivo nelle settimane successive.E si fece vivo sì, Lancini. In

particolare quando fu arrestato per truffa e trasferito in carcere. Aveva già

messo in pratica con altri quel che era stato il piano con cui aveva tentato di

raggirare Arvedi. Il conte nel frattempo aveva assegnato la direzione sportive

dell’Hellas a Giovanni Galli, un monumento del calcio italiano che, da

dirigente, non aveva avuto le fortune che gli erano appartenute da giocatore. A

metà dicembre la presentazione, con successivo cambio in panchina: via

Pellegrini, okay a Maurizio Sarri, allenatore che veste sempre di nero e che è

noto per la maniacalità sugli schemi da palla ferma. A restare fermo sarà il

Verona, con lui: un pareggio e cinque sconfitte, con una squadra rigirata come

un guanto tra acquisti e cessioni, a gennaio. Al ritorno dall’ennesima batosta,

un 2-0 subito fuori casa con la Ternana, il conte parla con l’addetto stampa

Simone Puliafito. E, oltre a far intendere che un altro esonero è prossimo,

racconta anche di un fatto che si raccomanda non venga divulgato: Lancini ha

orchestrato la chiusura dell’acquisto dell’Hellas con cinque milioni di euro in

contanti. Danaro che, aperta la borsa in cui era contenuto, Arvedi subito aveva

riscontrato essere falso. Nella messinscena era stato coinvolto perfino un

finto cardinale, che avrebbe dovuto avallare la veridicità dell’operazione e che

porse al conte l’anello da porporato. Ricordò Arvedi poco tempo dopo con il suo

inconfondibile tono: “E mi ghe l’ho anca basà a quel porco”. Con l’intervento

della Guardia di Finanza e dei Carabinieri salta tutto e di lì ad alcune

settimane Lancini sarà tradotto dietro le sbarre. Mentre Arvedi, l’episodio dei

soldi falsi, lo svelerà alla prima occasione utile: ovvero nel giorno in cui,

dopo aver silurato Sarri e aver ricevuto le dimissioni di Galli, riporta in

panchina Davide Pellegrini. Ma, alle porte di Corte Pancaldo, già

spunta un’altra figura decisiva per questa storia: è Nardino Previdi.  

Previdi entra negli uffici dell’Hellas il 10 marzo 2008. Il Verona ha appena

vinto per 1-0 con il Foggia, è solo il terzo successo in campionato. Accetta l’incarico,

Previdi, su invito di Riccardo Prisciantelli, suo scudiero, e con Arvedi che

gli dà carta bianca purché raggiunga la salvezza con l’Hellas, di cui peraltro

già è stato dirigente in carica con la proprietà Mazzi, tra il 1993 e il 1997.

Nelle stanze del potere le manovre all’interno del Verona sono monitorate con

attenzione e con un filo di ansia. Se i gialloblù dovessero restare in C1

sarebbe meno probabile riuscire a far passare il progetto della fusione come

ineluttabile. Anche se c’è sempre un’altra via, un piano B che è rinchiuso in

un cassetto e che può essere estratto all’occorrenza.   E ne avranno 

bisogno, i teorici della “strategia della squadra unica”, di quel piano B.

L’Hellas, dopo una rimonta impetuosa, accede ai playout e si gioca tutto con la

Pro Patria. Vince per 1-0 al Bentegodi, con un gol di Morante in pieno

recupero, e quando Ilyas Zeytualev, al 90’, a Busto Arsizio, pareggia il

vantaggio di Negrini per l’1-1 finale, esplode un senso di liberazione. Il

Verona esiste ancora, è tutto da rifare ma esiste ancora. Ma chi muove le leve

dell’economia in città ha parecchie carte nel taschino. A giugno 2008 parte

un’altra sfida, e sarà uno showdown in piena regola, con un attore non

protagonista inedito che si chiama Giovanni Martinelli e che viene individuato

come l’uomo giusto per far collimare tutte le tessere del mosaico.  Parte in questi giorni la scalata

all’Hellas di Giovanni Martinelli. Il calcio, per lui, è il CastelnuovoSandrà,

società dilettantistica per cui ha speso molto, risalendo qualche categoria

anche attraverso delle fusioni. Pratica, questa, molto diffusa nella cerchia

dei campionati minori, dove i soldi sono pochini e bisogna pur arrangiarsi. Del

Verona, Martinelli, non sa molto. L’ha seguito in gioventù, da tifoso

dell’Hellas di Saverio Garonzi, e il suo idolo non poteva che essere Gianfranco

Zigoni. Qualche ritorno di fiamma c’è stato, come nel 2005, quando ha

intavolato una trattativa con Giambattista Pastorello per entrare nel Verona.

Aveva partecipato anche ad una trasferta a Bari, il suo ingresso nell’Hellas

era dato per prossimo, ma nel giro di una manciata di giorni tutto era saltato

per motivi mai chiariti con precisione. Fino al giorno in cui Martinelli non

rileverà per intero il Verona. Ma, prima di arrivare ad allora, c’è

da tornare ad un progetto che non era stato accantonato. Lo stadio. E l’area su

cui si sviluppa il Bentegodi. Una zona ricettiva, ad alto tasso di

edificabilità, alle porte del centro storico, servita da tangenziali e

trasporti. Una gemma, per chi voglia costruire nuovi palazzi. Ma c’è un

problema: ossia che in piazzale Olimpia c’è quell’impianto, datato 1963, che è

la casa del calcio a Verona. Eppure c’è anche quell’idea, che torna

costantemente, di uno stadio alla Spianà. Ricordiamoci chi aveva proposto di

intervenire in quel senso: gli imprenditori edili Lonardi e Mazzi, insieme a

Luca Campedelli, anche lui attivo nell’ambito degli investimenti immobiliare.

Un settore in cui pure Martinelli ha vasti interessi, dato che lungo il lago di

Garda è proprietario di numerosi edifici, dopo aver diversificato l’iniziale

canale industriale, quello delle confezioni e dell’abbigliamento. Stadio nuovo, nuovo boom edilizio in

un contesto urbano che assicura ampi margini di introito, insieme alla crisi

dell’Hellas e ai milioni di euro che la serie A appena riconquistata

garantiscono al Chievo: il pacchetto è questo, ma per scartarlo ci sono da

superare tanti scalini. Che sono poi dei veri gradoni. L’Hellas, squadra che

raccoglie con percentuali bulgare l’amore e la passione del territorio, vanta

un bacino d’utenza che non accetterebbe agevolmente la fusione col Chievo. Così

si aprono due filoni principali: da un lato, la trattativa per aggiudicarsi il

Verona, sottraendolo alla proprietà di Piero Arvedi, che ha una disponibilità

economica ormai ridotta e che dà carta bianca a Nardino Previdi per impostare

una squadra a basso costo, piena di giovani in prestito e guidata da Gian Marco

Remondina, allenatore poco noto al grande pubblico e che ha vissuto un carriera

da tecnico tra serie D e C, eccetto per l’ultimo anno, chiuso con un esonero in

B a Piacenza.   Dall’altro, l’intento è quello di fare una sorta di

battage per far passare un messaggio chiaro: solo la fusione può riportare

l’Hellas in alto salvandolo dal tracollo e dalla cancellazione. E, in questo

modo, sarebbe subito serie A. Tra l’altro la parte più calda della tifoseria

del Verona apre un fronte di contestazione verso Arvedi e Previdi, con

volantini a colori affissi per tutta la città e in provincia, con le effigi dei

due e la scritta “Bugiardi”. E scatta anche lo sciopero degli abbonamenti.

Iniziativa, questa, che avrà peraltro scarso successo. Il clima, secondo chi

opera per la strategia della fusione (o accorpamento, o unione, in base alle

diverse declinazioni del concetto), è fertile per centrare l’obiettivo.Tra settembre e ottobre è tutto

pronto: la nuova “creatura” sarà denominata H.C. Verona, con le iniziali che

stanno per HellasChievo. La maglia disegnata sarà gialloblù a quarti, il

simbolo la Scala. Lo stadio, alla Spianà, senza pista d’atletica, avrà 30mila

posti, e sarà privato, gestito dalla nuova società. Ne parla personalmente Luca

Campedelli a un tifoso tra i più noti dell’Hellas, in un appuntamento in via

Galvani, e non è un diniego quello che riceve dopo l’esposizione delle idee che

sono state sviluppate. Ben meno accomodanti saranno le posizioni di altri

sostenitori del Verona, incontrati negli uffici di una nota impresa locale

sempre da Campedelli: “Se vuoi l’Hellas, compralo, nessuno ce l’ha con te. Ma

non ci interessa la fusione”, il senso delle parole rivolte al presidente del

Chievo. Mentre, al primo aleggiare di queste voci, il sindaco Tosi dirà:

“L’importante è che si chiami Hellas”. Il che è nelle finalità del piano, ma

non esclude in alcun modo che ci sia il progettato “assorbimento”: se non è un

nulla osta, poco ci manca. E comunque, per realizzare lo stadio allo Spianà e

dare l’okay all’eventuale nuovo impiego di piazzale Olimpia, l’avallo del

Comune è necessario.Le forze in campo sono schierate. I

poteri più pressanti di Verona (istituti di credito, grande imprenditoria,

politica) fiutano il successo. Martinelli è l’industriale designato per fare da

traghettatore: comprerà lui l’Hellas, ma l’accordo con Campedelli è cosa già fatta.

Sempre Campedelli, durante il pranzo con la stampa che anticipa il Natale, al

ristorante Cavour di Dossobuono, dice: “Verona non può reggere due squadre a

certi livelli”. Ampi settori dei media cittadini, tra l’altro, vedono di buon

occhio l’operazione. Insomma, nulla sembra poter fermare gli accordi presi.

Arvedi è alle strette. Oltre ai ricorrenti problemi di salute, con una

bronchite che lo costringe a letto per settimane, è un fatto che non si possa

più permettere il Verona (che, nel frattempo, sta disputando un discreto

campionato in Prima Divisione). Lo studio commercialista Belluzzo, che segue la

trattativa per la cessione dell’Hellas a Martinelli, comanda i giochi. Ai primi

di dicembre del 2008 c’è l’appuntamento per la firma, ma il conte la fa saltare,

i toni tra le parti si fanno anche accesi, nell’occasione. Arvedi rivelò,

subito dopo: “No ghe la vendo mia a Martinelli, el vol far la fusion con

Campedelli”. E, intanto, fa uscire un comunicato stampa sul sito ufficiale

della società per smentire di aver ceduto l’Hellas, mentre riallaccia i

contatti con Massimiliano Andreoli, l’imprenditore che si dice sempre pronto ad

entrare nella compagine societaria del Verona. Arvedi e Andreoli si vedono a più

riprese a Cavalcaselle. Pranzi e cene, la volontà comune di individuare una

maniera per tenere l’Hellas. Si ragiona di quote, si parla di cifre. D’altro

canto, però, Nardino Previdi non può più continuare nella sua opera nel Verona,

fiaccato dai disturbi fisici. Per Arvedi è dura pensare di andare avanti con

l’Hellas senza l’uomo che gli ha consentito di raddrizzare per quanto possibile

la barca. Ma è combattuto: vendere o continuare coinvolgendo Andreoli e puntando,

come nuovo riferimento per la direzione del club, su Rino Foschi, che vede

sempre in quei giorni? Il conte fa l’uno e l’altro. Perché la sera di venerdì

19 dicembre, accompagnato dall’amico, consulente e deputato Giampaolo Fogliardi

firma, infine, una lettera d’intenti per cedere il Verona a Martinelli, il che

non è un atto definitivo. Martinelli, appena accaduto l’evento, comunica quanto

avvenuto telefonicamente a Campedelli. Sull’altro versante, tuttavia, Arvedi

richiama Andreoli, gli dice che lo vuole al suo fianco in tribuna a Cesena, la

domenica, quando l’Hellas sarà di scena contro la formazione romagnola, per un

big match che può sospingere il Verona fino ad una sorprendente zona playoff,

al virare della boa dell’andata. E, il lunedì, a Cavalcaselle è già in

programma un altro ritrovo con Andreoli per sparigliare le carte e mantenere,

almeno fino al termine della stagione, la proprietà del Verona.  

 La macchina impazzita condotta da

Jerzy Palik, polacco che ha imboccato l’autostrada in stato di ebbrezza, dopo

un pomeriggio passato alla stazione di Bologna a bere, affranto per il mancato

arrivo della donna che ama, centra in pieno la Mercedes che Piero Arvedi ha

fermato in corsia d’emergenza, di ritorno da Cesena, dove l’Hellas ha perso per

2-1. Aspetta soccorsi il conte, perché ha finito la benzina: manca poco alle

otto di sera, è il 21 dicembre 2008. L’impatto è violentissimo, Arvedi riporta

danni gravissimi. Viene trasportato d’urgenza all’ospedale “Carlo Poma” di

Mantova, privo di sensi.

 

Il tremendo incidente di cui è

vittima Arvedi blocca il puzzle della fusione che incombe. Con il patron

dell’Hellas che viene trasferito a Borgo Trento, in coma, la cessione (e

l’unione) non può essere completata. Di impiegabile, per proseguire

nell’affare, c’è solo quella lettera d’intenti che è stata firmata il venerdì

precedente il terribile scontro sulla A22. Senza Arvedi, Massimiliano Andreoli

non ha più un interlocutore con cui parlare per cercare di entrare nell’Hellas.

Tutto viene coordinato dai tecnici delle parti: lo studio Belluzzo per

Martinelli, Giampaolo Fogliardi e l’avvocato Giacopuzzi come rappresentanti di

Arvedi.Martinelli, già. Quando viene chiamato per confermare la

trattativa, nega qualsiasi coinvolgimento: “Non so niente di tutta questa storia”.

Una smentita di facciata, chiaro. Martinelli da mesi ha con sé, come

consigliere tecnico, Massimo Ficcadenti, che ha deciso di tentare la via

dirigenziale e che, tuttavia, è prima tenuto all’oscuro e poi è completamente

contrario a ogni ipotesi di fusione. Ma i contatti tra Martinelli e Campedelli

sono frequentissimi, in pectore l’unione è già una certezza. Un intreccio che

in pochi avevano ravvisato e che, in autunno, era stato evidenziato in un

volantino di protesta vergato dalla Curva Sud, che portava allo scoperto i

giochi che si svolgevano sopra la testa dell’Hellas.

 

Nello studio Belluzzo, da qualche

tempo, è entrato anche Davide Bovo. Professionista esperto di materie bancarie,

segue l’ultima fase di passaggio di proprietà. Dopo una vera e propria odissea

giuridico-burocratica, l’Hellas cambia proprietario il 30 gennaio 2009, ceduto

dalla Arilicense di Piero Arvedi, che versa sempre in drammatiche condizioni in

ospedale, alla Mastino di Martinelli. In un bar fuori dall’ufficio di Belluzzo,

in stradone San Fermo, si sprecano i brindisi. Anche perché, in mattinata,

c’era stato il pericolo concreto che tutto franasse: davanti al tribunale che

doveva dare l’autorizzazione alla cessione, consentendo al Verona di evitare un

fallimento altrimenti sicuro, era stato depositato un assegno di otto milioni

di lire di un non meglio delineato gruppo di Fregene. Martinelli, a quel punto,

non solo si appoggia ai suoi tecnici: chiama anche Luca Campedelli, per avere

un consiglio su come muoversi. Ma la situazione si risolve a fronte della

palese poca attendibilità dell’offerta venuta dal Lazio. E il Verona ha un

nuovo padrone.

D’ora in avanti, per coloro che

spingono per la fusione, l'unico ostacolo è il tempo. Pochi mesi, la fine della

stagione agonistica e poi l’annuncio. Ma bisogna preparare l’aria. Se ne

dovrebbe occupare proprio Bovo, consigliere delegato insieme ad un altro

specialista di economia, un brasiliano di Rio de Janeiro, tifoso del Fluminense

e braccio destro di Martinelli nella cura delle sue aziende: Benito Siciliano.

Siciliano e Ficcadenti fanno muro unico contro l’accorpamento tra Hellas e

Chievo, Bovo contatta la tifoseria organizzata per propagandare quella che

viene definita come una “possibilità”. Gira per le cene dei Calcio Clubs, Bovo.

Ma prima, appena quattro giorni dopo l’acquisizione del Verona, è lui ad

accompagnare Martinelli in udienza da Flavio Tosi, a Palazzo Barbieri. E il

primo argomento ad essere toccato è la questione dello stadio: “Massima

disponibilità a discuterne per quel che ci riguarda. Ma prima ci vuole una

squadra forte”. Mentre, quando a Martinelli viene chiesto conto delle sempre

più insistenti indicazioni su una fusione già programmata, Bovo interrompe il

cronista e gli ricorda che “senza Martinelli il Verona sarebbe già fallito”,

invitandolo ad andare “a leggersi come funziona il lodo Petrucci”. Al venerdì

sempre Bovo, con Martinelli, partecipa ad una trasmissione televisiva. Uno

spettatore aspetta che la sua chiamata venga passata in diretta, è in ascolto e

sente limpidamente una lamentela sulla scarsa (eufemismo) disponibilità dei

tifosi dell’Hellas ad accettare la fusione.

 

Ed è questo il punto di svolta. Il no

che viene dalla piazza. Sottovalutata dai teorici dell’unione tra Verona e

Chievo. Bovo va avanti a spron battuto, non si rende conto di quanto il

progetto sia già deragliato prima di essere messo in pista. Il 17 febbraio,

alla cena del Calcio Club Butei Cin Cin, in un ambiente in cui il tasso

alcolico è largamente al di sopra dei limiti di legge, prende la parola. E, tra

alcuni giri di parole e una serie di perifrasi, il “dico non dico” fa emergere

la verità: il traguardo cercato e voluto è la fusione. I tifosi presenti,

increduli, sospettano di essere stati sorpresi da qualche bicchiere di troppo.

Ma Bovo conferma, ricorrendo ad una metafora: “Se volete andare a Roma

preferite prendere la bicicletta o salire sull’aereo?”. Roma è la serie A, il

calcio palancaio. Un nuovo stadio, chissà. La bicicletta è la strada normale,

da percorrere dalla Prima Divisione in cui si trova l’Hellas. L’aereo è la

fusione.Chi vi scrive, quella sera, ebbe uno scontro a muso duro con

Davide Bovo, annunciandogli che quel progetto, tenuto segreto fino a quel

momento, sarebbe stato svelato sulle pagine del “Corriere di Verona” al più

presto. Bovo, la mattina seguente, chiese negli uffici dell’Hellas il numero di

telefono dei capi del vostro cronista, per lamentarsi dell’“eccesso” di

aggressività e del comportamento “da tifoso e non da giornalista”. La persona

con cui Bovo parlò lo invitò a chiamare direttamente l’interessato, senza

ricorrere a terzi o ad altri metodi. E, così, intorno alle dieci di mattina,

arrivò questa chiamata in cui il consigliere delegato dell’Hellas cercava di

spiegare come fosse il calcio moderno, di quanto incidessero i costi e che era

durissima condurre una società senza introiti, com’era il Verona in quel

momento, e con tanto di costi pregressi che erano emersi senza che fossero

previsti. La risposta che ebbe fu un semplice “se si compra una squadra di calcio

si deve sapere prima come funziona. Sennò si lascia stare”. Clic.

 Visto che ormai il virtuale bubbone

era esploso, era anche scoppiata l’animazione tra i tifosi. All’antistadio in

alcune decine, al pomeriggio, si radunarono in alcune decine. A seguire gli

sviluppi della vicenda, completamente fuori controllo per i “fusionisti” dei

salotti buoni, si presentò anche una troupe della Rai, che raccolse opinioni

inferocite di sostenitori dell’Hellas infuriati di fronte a quella che era una

probabilità crescente per il futuro. E ci fu una riunione a ranghi ridotti, nel

parterre del Bentegodi, in cui Massimo Ficcadenti, telegraficamente, illustrò a

una ristretta cerchia di amici e conoscenti, nella tifoseria e nella stampa,

quello che era il panorama. Ma era già lapalissiano che qualcosa era cambiato

sul serio, in quelle ore.   Martinelli chiamò Campedelli e gli disse che

non se ne faceva più nulla, che sarebbe andato avanti da solo, con l’Hellas.

Una scelta che suscitò lo stupore del presidente del Chievo, visto che tutto

sembrava ormai fatto. Bovo fu spostato ad altre mansioni: soltanto mesi dopo fu

ufficiale la sua uscita dal Verona, ma già la sera seguente la sua

partecipazione a quella ormai celeberrima cena dei Butei Cin Cin, venne messo

da parte. L’Hellas proseguiva sulle proprie gambe, i tifosi, forse neppure del

tutto consapevolmente, avevano vinto il duello contro i poteri forti e il

calcio d’affari. Ma tanto ancora sarebbe accaduto negli anni successivi, e

prima di arrivare ad oggi.

 Giovanni Martinelli ha deciso di

camminare da solo. La rinuncia alla fusione comporterà un impegno economico che

non era previsto, ma che può essere ripianato in un solo modo: scalando le

categorie e prendendosi i milioni di euro assicurati dalle tv intanto in B e,

soprattutto, in serie A. Per questo le ambizioni del nuovo Verona sono grandi.

E la strategia low cost forzatamente adottata da Nardino Previdi non può che

essere azzerata. Resta da capire a chi andrà affidato il compito della

ricostruzione. Massimo Ficcadenti, dapprima referente unico di Martinelli, nel

giro di poco viene messo da parte. Non può figurare ufficialmente come

direttore sportivo, l’Hellas per operare formalmente sul mercato deve fare

ricorso a Claudio Molinari, dg portato da Previdi che resta in carica fino a

giugno 2009. Ma non è solo l’aspetto meramente “di facciata” a spingere

Martinelli a interrompere il rapporto professionale con Ficcadenti. In realtà

il presidente ha parlato con alcuni consiglieri invisibili e ha già fatto

un’altra scelta.

Ficcadenti, alla prima riunione

tecnica con Gian Marco Remondina e Martinelli, suggerisce il cambio dei

collaboratori dell’allenatore, con l’inserimento nell’organigramma di Bruno

Conca ed Ermes Fulgoni, suoi storici compagni di lavoro. Remondina risponde

piccato: “Se sostituite Bruni e Marini (vice e preparatore dei portieri, ndr)

vado via anch’io”. Martinelli conferma la fiducia a tutto lo staff. Tra

Ficcadenti e Remondina non c’è sintonia, ma non è questo il motivo della

rottura con i vertici dell’Hellas. A margine dell’aperitivo per le feste di

Pasqua del Chievo, che si tiene all’albergo della catena Hotelissimi, a

Villafranca, Luca Campedelli dice ad alcuni convitati tra i media: “Ho saputo

che il Verona ha preso Bonato”. Stupore diffuso, dato che siamo ad aprile e

nulla fa pensare che con Ficcadenti si andrà all’interruzione del rapporto. Ma

il presidente del Chievo, seppure deluso per il fallimento dell’idea della

fusione, non ha smesso di sentirsi con Martinelli, che lo interpella spesso e

volentieri e di cui, di fatto, è il più stretto confidente nell’ambito

calcistico. Quindi, soprattutto, non mente. E Nereo Bonato, in quel momento

ancora direttore sportivo del Sassuolo, veronese di San Giovanni Lupatoto, già

portiere delle giovanili dell’Hellas negli anni ’80, è considerato molto

vicino, per contatti e frequentazioni, a Giovanni Sartori, gran vizir del

mercato del Chievo.

La stagione termina con il rimpianto

per non aver raggiunto i playoff, sfumati per poco, ma il bilancio, date quelle

che erano le aspettative iniziali, è più che discreto: il Verona ha espresso a

tratti anche del buon calcio, la società è forte e solida, le paure per la

fusione e per il futuro sono passate. Martinelli punta ancora su Remondina come

allenatore, anche se in molti storcono il naso. Bonato lascia il Sassuolo e,

come aveva anticipato Campedelli, firma con l’Hellas un triennale. Lo stesso

Bonato è un estimatore di Remondina, che proprio al Sassuolo ha già avuto come

tecnico. Sono anche mesi di dolore per la scomparsa di Piero Arvedi, che se ne

va a marzo per i postumi dell’incidente del 19 dicembre, e a giugno si spegne

Previdi, che non supera l’ennesimo malore che lo colpisce e che, appena alcuni

giorni prima, aveva espresso una forte disistima nei confronti di Bonato. Al

suo funerale, in Emilia, non si presenta nessun inviato ufficiale del

Verona. Bonato allestisce una squadra di alto

profilo per la Prima Divisione. Russo, Esposito, Selva, Pensalfini, Berrettoni,

Cangi: sono nomi che, in terza serie, sono stimati come il top. L’Hellas va in

ritiro a Fosse e alle amichevoli ci sono cinquemila spettatori di media,

l’entusiasmo è alle stelle. L’unica rivale attendibile, alla vigilia del

campionato, sembra il Pescara, che ha pure fatto massicci investimenti. Ma,

dopo le prime giornate di campionato, qualcosa scricchiola: un paio di pareggi

di troppo e Remondina viene messo in discussione. Non certo da Bonato, bensì da

Benito Siciliano, il consigliere delegato brasiliano che è il braccio destro di

Martinelli. Siciliano ha avuto già alcune frizioni con Bonato in sede di

mercato. Ha cercato di ingaggiare lui dei giocatori al posto del direttore

sportivo, ha proposto, tra gli altri, Do Prado, e non se n’è fatto nulla. E

d’altro canto Bonato aveva già frenato delle altre incursioni, come quella di

Massimiliano Andreoli, con cui, per alcuni giorni, pareva possibile un’entrata

in società e che spingeva per una più stretta vicinanza tra l’Hellas e Mino

Raiola, agente e amico dell’imprenditore di Buttapietra. Ma Martinelli, in

prima persona, riferisce a Campedelli che per Andreoli non ci sarebbe stato

alcun ingresso nella compagine dell’Hellas.Siciliano non vuole Remondina e

contatta direttamente altri allenatori. Cerca Beppe Iachini, la cui richiesta

economica è elevata, ma con cui la porta rimane aperta. Anche perché per

Remondina c’è subito una gara decisiva, con la Ternana in casa. Al Bentegodi è

una notte di calcio spumeggiante, il Verona vince per 2-0, domina ed esalta un

pubblico che impazzisce di gioia. Si scatena l’euforia, l’Hellas si impone in

altre tre partite consecutivamente e con uno 0-0 a Reggio Emilia aggancia la

vetta. Siciliano deve arretrare, mentre Remondina è saldissimo alla guida della

squadra e Bonato controlla la situazione e già pianifica il mercato invernale,

con un obiettivo dichiarato: Francesco Di Gennaro, attaccante del Gallipoli già

cercato in estate ma che non è stato acquistato per il costo troppo alto. Ma a

gennaio l’operazione si fa. L’esborso è sontuoso, ma Martinelli è stato

convinto della necessità di quell’intervento per essere sicuri della B. Di

Gennaro segna subito, risolvendo la partita col Cosenza, e Bonato pare, ancora

una volta, non aver sbagliato le valutazioni. E così, quando Siciliano, in

un’intervista comparsa sul magazine ufficiale dell’Hellas, polemizza tra le

righe con il ds e l’allenatore, il caso deflagra.

Bonato, il team manager Stefano

Fattori, il responsabile delle giovanili Antonio Terraciano parlano con

Martinelli e la richiesta che viene fatta, in sintesi, è chiara: o Siciliano

lascia il Verona o se ne vanno loro. Per il presidente è un bivio, visto che il

brasiliano è la sua spalla più fidata, ma non può nemmeno permettersi di

perdere la struttura che ha delineato da appena pochi mesi. E, nei fatti, non

sceglie. Ovvero, Siciliano viene allontanato dall’Hellas a parole, con l’uscita

dagli uffici di via Torricelli, collocato in una specie di vacanza, ma Bonato è

posto sotto esame: se il Verona andrà in B avrà vinto lui, sennò salterà e a

rientrare sarà Siciliano. E sull’esito del “duello” a distanza in pochi nutrono

dubbi: l’Hellas arriva ad accumulare sette punti di vantaggio sulla seconda,

per i gialloblù è una marcia trionfale a cui manca soltanto l’atto

dell’incoronazione. Ma nessuno può immaginare che cosa

succederà tra marzo e maggio. Il Verona crolla, spreca tutto il margine

acquisito, alla penultima viene raggiunto dal Portogruaro, con cui deve giocare

la partita di chiusura della stagione regolare in casa: è uno spareggio.

Trentamila spettatori, uno scenario e una festa già in programma. Ma ormai non

ce n’è più. Remondina si sbraccia per dare indicazioni, i giocatori non lo

seguono e, sul campo, come rivelerà in camera caritatis un giocatore

avversario, fanno l’esatto opposto. Il tocco finale è nel rimpallo che lancia

il  Portogruaro verso la porta di Rafael e nel gol messo a segno allo

scadere da Bocalon: il Verona perde per 1-0, la promozione diretta

 svanisce, fuori dallo stadio c’è contestazione. E, per Bonato, già suona

la campana della sconfitta.

 

A pagare per tutti

è Remondina, esonerato all’indomani del tonfo. Siciliano chiama Giovanni

Vavassori e gli propone la panchina dell’Hellas, cosa che aveva già fatto in un

incontro a Zingonia, nel centro sportivo dell’Atalanta, a gennaio, prima

dell’acquisto di Di Gennaro (che è stato, nel frattempo, un colossale buco

nell’acqua: due reti fatte e un rendimento non all’altezza delle attese. E lo

stesso vale per l'altro acquisto invernale, Dalla Bona, arrivato in fortissimo

sovrappeso e mai in forma), quando, di nuovo, Remondina era stato messo in

discussione. Dunque Vavassori prende il comando della squadra, non voluto da

Bonato. Il cambio servirà a poco: il Verona non ha più benzina, è scarico nelle

gambe e nella testa. Supera il turno di semifinale con il Rimini, ma col

Pescara non ce la fa: un pari per 2-2 all’andata, e al ritorno cede per 1-0.

Ancora Prima Divisione, con nove milioni spesi da Martinelli per fallire

l’obiettivo.Con Bonato non può che scattare la rottura, il direttore sportivo

si dimette. Il nuovo gestore dell’Hellas è Siciliano, il cui potere è ampliato

perché Martinelli vede riemergere dei gravi problemi di salute che gli

impongono di assentarsi dalla conduzione del club. Il Verona dovrà essere

ancora rifondato. E, per prima cosa, Siciliano deve individuare il nuovo

diesse, e con lui un altro allenatore.

 

Benito Siciliano deve effettuare un

giro di consultazioni per scegliere, intanto, il direttore sportivo. Parla con

Riccardo Prisciantelli, che conosce meglio, dato che ha lasciato il Verona con

l’avvento della proprietà Martinelli, e con cui non si sono interrotti i

rapporti. Ma Prisciantelli, con sé, avrebbe come supervisore Carlo Osti, con

cui ha lavorato per un anno all’Atalanta: il costo dell’operazione, per le

casse dell’Hellas sarebbe troppo alto. Un altro nome passato al vaglio è quello

di Giuseppe Magalini, veronese che è una “creatura” di Giovanni Sartori, dato

che è stato nel settore giovanile del Chievo prima di vivere l’ascesa e il

tracollo del Mantova.  Martinelli invita Siciliano a incontrarsi con

Magalini, ma intanto c’è un’altra via. Ossia quella che porta a Mauro

Gibellini. Sarebbe un ritorno, per lui, dato che all’Hellas è stato giocatore,

dirigente del vivaio, diesse. I ricordi legati a lui, nella piazza gialloblù,

sono molto buoni. E Siciliano riceve ottime relazioni da Massimo Ficcadenti,

che ha avuto nel Gibo il primo mentore da allenatore. Basta poco per trovare un

accordo, e una cena a tre con Martinelli suggella l’okay.  

Per l’allenatore Gibellini ha due

obiettivi: il primo è Beppe Sannino, che però non accetta le offerte del

Verona, dato che vuole mettersi alla prova per la prima volta in B, col Varese

con cui in due anni è salito dalla Seconda Divisione al campionato cadetto. Il

secondo è Alessandro Calori, tecnico del Portogruaro che ha appena beffato

l’Hellas. Lui, al Verona, verrebbe di corsa, ma non c’è verso di convincere la

sua società di appartenenza. Calori sostiene di non potersi muovere. Ma, dopo

un paio di settimane, andrà al Padova. A questo punto Siciliano avanza una

candidatura: quella di Giuseppe Giannini, di cui gli sono state riferite cose

eccellenti. E anche Gibellini concorda. I due partono per Firenze, città in cui

si sono dati appuntamento con il Principe. La trattativa dura otto ore, ma

pochi minuti dopo le venti ecco la firma: Giannini è il nuovo allenatore

dell’Hellas. Adesso si può pensare alla squadra. Gibellini trova una

collocazione per quattordici giocatori. Tra giugno e agosto se ne vanno tra gli

altri Pensalfini, Rantier, Colombo e Anselmi. Pugliese viene chiamato dal

Varese e chiede di essere ceduto direttamente a Martinelli, che intanto è

ricoverato in ospedale per controlli prima e dopo per sottoporsi ad un

intervento chirurgico. Il presidente accontenta i desideri del giocatore,

mentre in entrata è un’altra rivoluzione. Poco per volta il Gibo completa la

rosa: prende Maietta e, sul filo di lana della scadenza del mercato, Pichlmann

e Hallfredsson, che la Reggina ha messo ai margini della rosa. Ci sono giovani

come Martina Rini e Paghera, gente di esperienza (Scaglia e Abbate), più

Mancini che è fortemente voluto da Giannini. Gibellini ingaggia anche Le Noci,

che è stato capocannoniere della Prima Divisione l’anno precedente col

Pergocrema. E, insieme a lui, si fa dare pure Nicola Ferrari. Il campionato però è un pianto greco.

Giannini cambia continuamente modulo e uomini, ma i risultati latitano. In più

una catena di infortuni piega ancor di più l’Hellas. Lo spogliatoio è disunito

e qualche giocatore viene sorpreso a fare troppa bella vita. Le foto circolano

su Facebook e attirano gli strali della tifoseria. Al vostro cronista ne

vengono recapitate via posta elettronica a decine, alcune risalenti alla

primavera precedente, anche, ovvero alla fase di calo (e poi di crollo) che è

costata al Verona la B. Giannini è vicino all’esonero, tutto si decine nella

trasferta di Salerno, il 7 novembre 2010. La tensione è alta, il tecnico,

appena sceso dal pullman all’Arechi, rimprovera aspramente Hallfredsson che si

rilassa ascoltando musica con le cuffie, cosa che Giannini non gradisce. Sul

campo è un Hellas che non c’è più, e quando la Salernitana segna il secondo gol

di una partita che finirà 2-1 un componente dello staff del Principe si volta

verso i calciatori in panchina e dice: “Noi ce ne andiamo”.Infatti il mattino dopo Martinelli,

che è rientrato in sede ma che è sempre molto sofferente, annuncia il

siluramento di Giannini. E un certo Alberto Parentela, un ex broker

assicurativo della Toro che ha svolto mansioni paradirigenziali nel Catanzaro

tra gli anni ’70 e ’80, gli segnala un nome, quello di Andrea Mandorlini, che è

stato appena cacciato dal Cluj dopo aver vinto campionato, coppa e supercoppa

di Romania. Ad occuparsi della cosa è Spartaco Landini, direttore sportivo che

è amico di Parentela proprio dai tempi di Catanzaro e che è fuori dai giochi da

qualche anno. Landini contatta Mandorlini tramite Tullio Tinti, agente che è in

ottimi rapporti con l’allenatore. Alla sera, alle terme di Colà, a tavola si incontrano

in sette: Martinelli, Parentela, Landini, Busatta, ex giocatore dell’Hellas che

ha fatto da tramite tra il presidente e lo stesso Parentela, Gibellini, Tinti e

Mandorlini. Il quale è disponibile ad accettare il Verona ma che vuole essere

rassicurato sugli acquisti di gennaio. Della rosa dell’Hellas non conosce

praticamente nessuno. Il suo desiderio è che, nella sessione di mercato

invernale, vengano presi Sforzini, De Zerbi e Piccolo, che ha avuto al Cluj.

Poi rinvia la risposta al Verona al giorno seguente.  Martinelli aspetta, ma non vuole

farsi trovare scoperto in caso Mandorlini dovesse rifiutare. Dice a Gibellini

di chiamare in alternativa Paolo Vanoli per chiedergli di sedersi sulla panca

dell’Hellas. Vanoli era un’opzione sollecitata da Martinelli già in estate, e

fatta cadere da Gibellini, che comunque segue l’input del presidente e al Bauli

in Zai si vede con l’uomo voluto dal patron. Ma, mentre l’appuntamento è in

corso, Mandorlini chiama il Verona e dice di sì: firma un biennale e viene

presentato a ora di pranzo. E qui c’è un altro colpo di scena, perché nella

sala conferenze del club, con Martinelli e il nuovo allenatore, c’è Parentela.

Lo vuole con sé proprio Martinelli, che lo introduce come “persona che potrebbe

dare una mano all’Hellas”. Dunque, un socio probabile per il Verona, prossimo

ad entrare con delle quote nella compagine gialloblù. Parentela avrebbe con sé

Busatta come responsabile del settore giovanile, e Landini sarebbe il diesse.

Intanto Siciliano è assente, è a Coverciano per seguire il corso da direttore

sportivo, e quando apprende della sorprendente apparizione ufficiale di

Parentela va su tutte le furie. D’altronde il broker calabrese, che ora vive a

Bologna, cerca di tagliar fuori Siciliano e rapportarsi solo con Martinelli: ha

capito che l’unico sbarramento all’acquisizione dell’Hellas, per lui, è il

consigliere brasiliano.Ma si sbaglia. La stampa locale (o almeno una parte di

essa) esamina le carte e scopre che Parentela non ha nemmeno un’azienda attiva,

né un ufficio di rappresentanza operativa. Nessuno lo conosce né sa dire da

dove sia venuto. Lui afferma di avere risparmiato tanto nella vita e di voler

investire nel Verona, stacca un assegno a garanzia dell’operazione, che

dovrebbe concludersi agli inizi di dicembre. Ma la scadenza viene posposta a

più riprese, fino a sconfinare all’anno nuovo e poi dissolversi: di Parentela

non si parlerà più. E Andrea Mandorlini ha iniziato ad allenare l’Hellas e,

lentamente, qualcosa, dentro la squadra, si è messo a cambiare per davvero.

 

Il Verona ritrova un gioco ma sbaglia

molto, compresi due rigori con Lumezzane e Pergocrema che fanno sfumare

vittorie importantissime per rilanciarsi. Dopo il pari di Como, alla seconda di

ritorno, Mandorlini, sconsolato, dichiara: “Evidentemente non siamo pronti”.

Vorrebbe rinforzi dal mercato, la sua fiducia nel gruppo a disposizione è

ridotta. Ma Giovanni Martinelli è in condizioni gravi: deve essere operato, ai

primi di gennaio subisce un intervento che dura più di dieci ore al San Raffaele

di Milano. Lo supera, ma in questo periodo è distantissimo dalla conduzione

della società. E la famiglia chiude i rubinetti per il Verona. Il figlio Mirko

annuncia a Gibellini che soldi non ce ne sono. Anzi, la priorità è vendere. Il

direttore sportivo riferisce la cosa a Mandorlini, che la accetta, seppur

contrariato. Ma all’Hellas, per quanto la squadra balbetti, lontana dalle

posizioni di vertice, non si smette di pensare allo stadio privato, che torna

prepotentemente al centro delle attenzioni.

 Martinelli vuole che sia presentato

ufficialmente il nuovo progetto che ha studiato con Expandia, ditta della

Valpolicella che disegna la struttura. La zona è quella della Marangona, in

gran parte di proprietà del Consorzio Zai. Già se ne è parlato con il Comune,

che ha dato cenni di disponibilità. Ma la sterzata di Martinelli sorprende

Palazzo Barbieri. Inoltre all’interno dello stesso Verona c’è la figura di

Alessandro Pigozzi, portavoce del club che tira le fila per un tentativo di

cessione alla Protec, sponsor dell’Hellas e azienda del settore immobiliare:

sarà lui a rivelare a un cronista, in un casuale ritrovo in un locale

cittadino, le manovre intorno alla società. Altre forze vorrebbero spostare

l’idea del nuovo stadio nella zona in cui dovrebbe essere realizzato

l’autodromo, la cosiddetta Motorcity nella provincia a sud di Verona.

Sull’impianto della Marangona, a dispetto di tutte le opposizioni, viene alzato

il sipario a metà gennaio, in una conferenza in un salone sottostante la sede

gialloblù. Oltre allo stadio dell’Hellas ci sono un auditorium, altri campi

sportivi, compreso uno riservato al rugby che potrebbe diventare un centro di

allenamento nazionale, spazi commerciali. Qualcosa di faraonico che sia Flavio

Tosi che l’assessore all’urbanistica, Vito Giacino, fanno capire di non

considerare. C’è chi non perde l’occasione di attaccare Benito Siciliano, che

fa le veci di Martinelli, sempre in ospedale, criticandolo per la fretta con

cui ha svelato quello che è un semplice rendering, ma la verità è che tutto

quanto è stato voluto e pianificato da Martinelli.

   Il mercato, dunque, langue.

Mandorlini si deve accontentare di Tiboni, Napoli e Peretti. Ma è qui che anche

l’allenatore cambia marcia: ricompatta la squadra, le trasmette nuove

motivazioni. Con il Gubbio, in casa, il Verona perde e ogni speranza di B

appare compromessa. I tifosi si imbestialiscono e contestano, a Sandrà, dove i

giocatori hanno le macchine, volano parole grosse e anche qualche schiaffo.

Sarà la svolta. Ma, sempre negli stessi giorni, dopo un summit in società la

proprietà (intanto Martinelli è tornato dal lungo ricovero) decide di cambiare

direttore sportivo. Gibellini via: gli viene imputato di non aver venduto

quanto richiesto a gennaio. Ma la sessione è già chiusa e non si comprende il

senso della mossa. Siciliano si è già visto, fuori dal Mod05, l’hotel che

ospita i ritiri prepartita del Verona, con Roberto Zanzi, dirigente che è stato

con Mandorlini all’Atalanta. La notizia della cacciata del Gibo, però, scuote i

tifosi e la stampa, che fa fronte unico a favore del diesse. E la società

improvvisa una marcia indietro dal sapore comico. Non cambia nulla, tutti agli

stessi posti. E al martedì, dopo Gubbio, incontro negli spogliatoi del campo di

allenamento. Gibellini sollecita un maggior impiego di alcuni elementi, come il

frizzante Martina Rini, Mandorlini suona la carica. E, da lì in poi, sarà il

via ad una vera marcia trionfale. Rimonta impetuosamente, l’Hellas.

Scala la classifica fino a recuperare un posto in zona playoff, il gioco

lievita ed esplode Nicola Ferrari, prima fischiatissimo dal pubblico e dopo

risolutivo con una pioggia di gol decisivi. Si è invece guastato il rapporto

tra Gibellini e Mandorlini, che non è mai decollato del tutto. L’allenatore ha

la tendenza a inserirsi nelle operazioni di mercato, chiama in prima persona

calciatori e agenti, e questo non alimenta l’equilibrio fra le varie

competenze. Martinelli non interviene né in un senso né nell’altro. D’altra

parte la squadra sta bene e approda, a maggio, agli spareggi, traguardo che,

fino a pochi mesi prima, era utopistico. In semifinale il Verona supera il

Sorrento, nella doppia finale si impone sulla Salernitana: 2-0 all’andata,

indolore sconfitta per 1-0 nella bolgia dell’Arechi, al ritorno. Nelle quattro

partite l’Hellas usufruisce di tre rigori, e questo fa comprendere come anche

il Palazzo non sia contrario alla società gialloblù. Nel mese di novembre

precedente, d’altronde, Gibellini e Siciliano erano scesi a Firenze per parlare

con le istituzioni della Lega Pro, sottoponendo un dossier con i numerosi torti

arbitrali subiti dal Verona in un anno e mezzo in cui, all’Hellas, era stato

assegnato un solo penalty. La protesta produrrà i suoi effetti, e sarà proprio

dal dischetto che arriveranno le reti determinanti per salire in B.

 

A Salerno è festa

grande nello spogliatoio, mentre a Verona la città è impazzita, tra caroselli e

decine di migliaia di persone che scendono per le strade con le bandiere

gialloblù. Gibellini si avvicina a Mandorlini e gli rivolge un gesto di

distensione: “Ti faccio i complimenti, tu con il tuo staff avete fatto un

grandissimo lavoro”, il riconoscimento del diesse al tecnico. Il viaggio di

ritorno si conclude sulla pista d’atterraggio dell’aeroporto di Villafranca,

invasa da centinaia di persone che sfidano ogni regola e occupano la zona. Si

vede persino qualche bambino che si arrampica fin dentro le turbine dei mezzi

fermi in attesa di decollo. I giocatori sono accolti come fossero i Beatles. Da

anni non si vivevano scene di questo tenore a Verona, il tocco finale è la

sfilata in Bra, sul pullman scoperto, alle quattro di mattina. Ma il futuro è

ancora da delineare e Martinelli non è poi così convinto di proseguire

nell’impegno con l’Hellas. Appena poche settimane prima, in un incontro con i

coordinamenti dei calcio club, Benito Siciliano aveva annunciato la posizione

dei vertici della società: senza serie B si chiudono i battenti. Il Verona non

si sarebbe iscritto ad un altro campionato di Lega Pro. La promozione ha

cancellato questo rischio, però il panorama non è rassicurante e ci vorrà

ancora del tempo perché vada fatta chiarezza.  Il primo caso riguarda Emil

Hallfredsson. Il Verona lo deve riscattare dalla Reggina, se vuole tenerselo.

L’islandese è stato uno dei protagonisti della promozione, un intoccabile. Ma

Giovanni Martinelli non ci pensa proprio a pagare i 300mila euro necessari per

rilevarne il cartellino. Una spesa eccessiva per lui. La percentuale di

conferma di Halfredsson è ai minimi storici quando Bruno Venturi, amico del

presidente e imprenditore vicino alle cose dell’Hellas, presta la garanzia

necessaria per chiudere l’operazione ed assicurarsi il giocatore. Martinelli,

però, manifesta continui segnali che rendono implicitamente il senso di un

disimpegno. Cerca acquirenti, soprattutto, e il suo primo contatto è Stefano

Bergamelli. Uomo legatissimo a Enrico Preziosi, titolare di un’azienda

immobiliare ed edile della Bergamasca, Martinelli l’ha conosciuto quando sono

stati prelevati dal Pergocrema Le Noci e Ferrari. Bergamelli aveva appena

lasciato la proprietà della società lombarda, ma aveva ancora “in gestione” i

contratti dei due attaccanti. Da quel momento è nata una sintonia che, nei

primi giorni d’estate del 2011, si fa sempre più forte. C’è anche una riunione con

Martinelli, il figlio Mirko, Bergamelli e Mandorlini, per pianificare il

mercato. Mandorlini chiede subito la testa di Mauro Gibellini, che non vuole

come diesse. Quella posizione, tra l’altro, se la vorrebbe prendere proprio

Martinelli, che va da Preziosi a discutere degli stipendi di due giovani che il

Verona sta per prendere, Tachtsidis e Doninelli. E di fronte al Gibo, in un

incontro con degli agenti, il presidente dice: “Posso farlo benissimo anch’io

il direttore sportivo”. Ma tutte le architetture per trasferire in altre mani

delle quote dell’Hellas crollano, Bergamelli non fa mai il passo decisivo, e

quando si parla del possibile ingresso di Giampietro Magnani, socio della

grande ditta di software bancario Cad.it, arriva un comunicato di smentita. Martinelli

se la prende con Siciliano e Gibellini, colpevoli, a suo parere, di rendere

noti alla stampa i contatti che ci sono per vendere il Verona, e quindi di

affondarli a causa della perdita di riservatezza. Ma poco dopo la metà di

luglio la squadra si raduna.

 In via Sogare, allo stadio Olivieri,

sono in tremila ad accendere la serata estiva per salutare il gruppo in

partenza per il ritiro di Castelrotto. Mandorlini prende il microfono e, con

tono che vuole essere goliardico, ma che sarà considerato in tutt’altro modo

dagli organi istituzionali del calcio, canta, dedicando come sfottò il pezzo

alla Salernitana, il ritornello di “Italiano terrone che amo”, vecchio successo

degli Skiantos, utilizzato come coro dalla tifoseria del Verona. Il “Ti amo

terrone”  di Mandorlini è un fulmine nella quieta stagione pallonara.

Apriti cielo, l’allenatore viene messo sotto inchiestadalla procura federale e

deferito. A dicembre gli sarà comminata una multa di 20mila euro. In un

intervento a Sportitalia Gibellini (che pagherà con una squalifica di sei mesi

l’omessa denuncia di una richiesta di combine arrivatagli a febbraio da parte

del direttore sportivo del Ravenna, Giorgio Buffone) biasima quanto fatto dal

tecnico, definendo inopportuna la sua uscita. Tra i due è sempre più evidente

l’inconciliabilità. Martinelli non prende posizione. A

Castelrotto la situazione precipita: Mandorlini, quando Gibellini arriva al

ristorante, si alza e se ne va. Cartelli di scherno verso il diesse sono appesi

alla porta d’ingresso, a cui viene fatto sapere che non dovrà più entrare nello

spogliatoio. Dopo la prima partita di campionato, persa per 2-1 in casa col

Pescara, il Verona si prepara a Sandrà: è un sabato mattina, al martedì c’è la

trasferta di Castellammare con la Juve Stabia. Mentre Gibellini lascia il campo

Mandorlini gli si scaglia contro con degli improperi, e quando il direttore

sportivo torna indietro per chiedere chiarimenti l’allenatore lo spinge con

veemenza. Il suo vice, Roberto Bordin, interviene prima che le cose volgano al

peggio. Alla chiusura del mercato Martinelli accontenta Mandorlini, che ha

voluto ad ogni costo Sasa Bjelanovic, che firma un contratto di un anno con

automatico rinnovo in caso di salvezza. Gibellini, con Mareco, porta anche

Lepiller, che suscita le ironie di Mandorlini per i chili in eccesso che ha. Il

giocatore francese, una volta rimessosi in linea in maniera accettabile, sarà

decisivo in più partite. Come pure Pichlmann, che era stato posto in cima 

alla lista d’uscita dallo stesso tecnico.Il Verona gioca un calcio efficace.

Subisce qualche torto arbitrale, come con la Sampdoria, quando pareggia per

1-1, dopo essere andato sotto per un rigore inesistente: “Siamo soli contro

tutti”, tuona Mandorlini. Nelle settimane seguenti il presidente della Lega B,

Andrea Abodi gli risponderà pacatamente: “Posso assicurargli che non è così:

l’Hellas è una grande realtà del nostro campionato, non è solo contro tutti”.

Concetti che Abodi esprime anche in due lettere distinte, una indirizzata a

Martinelli, l’altra a Mandorlini. Comunque l’Hellas, superata una crisi di

risultati culminata con la sconfitta nel derby di Vicenza, riprende a correre.

Il pari con la Nocerina al Bentegodi è una delusione, ma da qui in avanti il

Verona è un treno in corsa: otto vittorie consecutive spingono l’Hellas fino ai

vertici della B, in odore di promozione. Ed è anche un record: uguagliata la

stricia di successi di fila dei gialloblù ci Cesare Prandelli, saliti in A nel

1998-’99. La città si stropiccia gli occhi: è un’annata magica.

 In inverno è di nuovo tempo di

mercato. E Martinelli ripete che di soldi non ce ne sono. Gibellini imbastisce

un affare con la Juventus per portare a Verona Pasquato, esterno offensivo che

può completare il fronte d’attacco. Mandorlini preferisce altro: Ricchiuti, per

esempio, di cui sente il procuratore Tateo, ma che, per scendere dalla A col

Catania alla B domanda un robusto adeguamento d’ingaggio. Il sogno è Paulinho,

ma il presidente del Livorno, Spinelli, è eloquente: “Non ci interessano le

contropartite. Se lo volete, dateci 2.5 milioni di euro per la metà”. E il

discorso neppure comincia. C’è addirittura un interessamento per Luca Toni, che

gioca poco o niente da un anno e di cui, poi, Martinelli dice: “Non verrà

perché è uno da A e resterà in A”. In realtà traslocherà in Qatar, ad incassare

i petrodollari dell’Al Nasr. E, quando Gibellini sta per concludere la

trattativa che dovrebbe condurre Mancini, che è ai margini della rosa

dell’Hellas, al Benevento in cambio del giovane centrocampista Vacca, ecco la

telefonata che blocca tutto: il Verona resta così, non si compra nessuno e non

si vende nessuno. Mancini viene riaccolto in organico da Mandorlini, ma sarà

utilizzato solamente per un tempo, all’ultima giornata, a Modena.L’Hellas non smette di vincere in

casa. In trasferta va a picco regolarmente, al contrario, e si esprime sempre

sottotono. Col Sassuolo prende due gol in 20’ e la partita si chiude, con la

Nocerina il copione è lo stesso, condito da alcune decisioni arbitrali che

appaiono errate. A Crotone in un tempo il Verona ne becca tre. A Bergamo con

l’AlbinoLeffe già più che retrocesso e che ha perso una striscia inenarrabile

di gare l’Hellas si ferma all’1-1: negli spogliatoi Martinelli dà vita ad una

piazzata contro gli avversari il direttore di gara, rimediando una lunga

squalifica. La serie A, che era un sogno vicino dopo il 4-1 rifilato fuori casa

a Torino, un capolavoro che sarà pressoché un Gronchi rosa nel cammino di

ritorno fuori casa dei gialloblù, non si materializza nella stagione regolare,

sebbene il Verona totalizzi 78 punti. Lo precedono Pescara e Toro, terzo è il

Sassuolo. La stagione è grandissima, ma il rimpianto non si può nascondere. Ai

playoff, tuttavia, c’è l’occasione per completare l’opera. Prima degli

spareggi la Lega B organizza un incontro preparatorio, presenti, insieme agli

staff dirigenziali delle squadre partecipanti (con l’Hellas, il Varese, che

sarà il rivale del Verona in semifinale, il Sassuolo e la Sampdoria), i

rappresentanti degli arbitri. Un summit a cui, da via Torricelli, viene inviata

la sola segretaria, Nicoletta Manfrin. E Domenico Messina, responsabile della

Can B, resterà spiacevolmente sorpresa per la latitanza degli esponenti del

board dell’Hellas. A Varese il Verona è un fantasma: perde per 2-0, all’andata,

ma gli va di lusso, tanto errato è l’approccio alla partita e tanto la

condizione della squadra si dimostra scadente. Il ritorno richiede una missione

impossibile, ma poco ci manca che l’Hellas, raschiando le ultime energie, non

ce la faccia: va in vantaggio con Tachtsidis, si vede negare un rigore enorme

per un fallo su Ferrari (e Troest, che lo stende in area, già ammonito, sarebbe

andato incontro all’espusione). Il Varese pareggia con Terlizzi, il Verona esce

infuriato. Ma non si può nemmeno negare che il migliore in campo sia stato

Rafael, decisivo in almeno cinque circostanze. Eppure l’errore di Massa, che

sarà comunque ammesso alla Can A, e quindi promosso, è il sigillo peggiore ad

un campionato che l’Hellas ha affrontato da protagonista in copertina. Ma ora

ci sono altri cambiamenti all’orizzonte: da mesi si parla dell’acquisto di una

larga maggioranza del club ad opera di Maurizio Setti, che ha un piccolo regno

della moda in costante espansione nel Carpigiano ed è vicepresidente del Bologna.

Tutto è rinviato ai primi giorni di giugno, subito dopo l’eliminazione del

Verona dai playoff, che saranno poi vinti dalla Sampdoria.

La scena ha il sapore di una vignetta

da sit-com: “Non possiamo smentire che Setti sia entrato nell’Hellas. Perché

poi magari è vero”. Siamo a metà primavera del 2012. In mattinata, sulla

Gazzetta dello Sport, è uscita una lunga intervista in cui Maurizio Setti,

imprenditore di Carpi, titolare di aziende nel ramo dell’abbigliamento

femminile, dichiara di aver comprato l’80 percento delle azioni del Verona.

Nella sede gialloblù, nelle stesse ore, si tiene la presentazione di

un’iniziativa di solidarietà e, al tavolo dei conferenzieri, ci sono Benito

Siciliano e Giampietro Magnani, direttore generale il primo, consulente il secondo

dell’Hellas. Interpellati sulla credibilità di quanto affermato da Setti,

rispondono così. E traspare, dai loro sguardi, un imbarazzo solare. Perché quel

che hanno sostenuto non è un modo per dire e non dire, bensì la verità.  

 

La trattativa l’ha condotta sempre e

solo Giovanni Martinelli. Ha conosciuto Setti, con cui condivide il settore

industriale in cui opera. Ha trovato una sintonia pressoché immediata. D’altra

parte uno vuole vendere, l’altro comprare. Martinelli è provato dalla malattia,

la sua famiglia non ci pensa neppure a prendere le redine del Verona, per cui

già è stato speso moltissimo. Setti, al contrario, desidera investire nel

calcio. Da settimane si vede come presenza fissa nel foyer del Bentegodi,

quando l’Hellas gioca in casa. Sta per uscire dal Bologna, di cui è socio di

minoranza e vicepresidente. Con Albano Guaraldi, massimo dirigente rossoblù,

nemmeno si parla più: posizioni e idee lontane, tra i due. Ma Setti vuole

restare nel calcio e farlo con un progetto ambizioso. Il Verona fa al caso suo.

Sa che Martinelli è disposto a cederlo, se non del tutto perlomeno in larga

parte, e il confronto comincia su buone basi.   E, quando Setti parla alla

Gazzetta, lo fa a ragion veduta.

 L’accordo è già stato chiuso, si

tratta solo, per lui, di liberarsi delle quote e degli incarichi all’interno

del Bologna. Martinelli è soddisfatto: l’Hellas, per lui, è stato una ragione

di vita, negli ultimi anni, ma tra le condizioni di salute e l’esborso

effettuato non aveva più la possibilità di continuare da solo. Eppure c’è stato

un giorno in cui tutto poteva saltare. All’indomani del 4-1 di un travolgente

Hellas al Toro, all’Olimpico, piove sulla società una multa salatissima: 40mila

euro per cori razzisti. C’è altro, dietro quella sanzione, ossia il rischio

effettivo, esposto dai vertici della Lega B, che al Verona venisse data partita

persa per 3-0 a tavolino. Non sono sfuggiti, infatti, canti negazionisti

inneggianti alle camere a gas, sentiti nel settore ospiti gialloblù a Torino. I

presupposti per la punizione ci sono, ma il tutto viene tramutato in una

maxi-ammenda (che poi sarà ridotta della metà). L’affare traballa, Setti non ne

vuol sapere di episodi di un determinato tenore. Martinelli si infuria con i

protagonisti di quelle espressioni, convoca un incontro con la stampa in cui

usa parole di fuoco contro quella parte della tifoseria, in cui ci sono, dice

il presidente, “i nemici del Verona”. A fatica i professionisti convincono

Setti a non abbandonare il tavolo già apertissimo. C’è anche un tifoso che,

provatissimo, si reca in sede e chiede scusa a Martinelli per quel che è

successo col Torino.

 

La vendita dell’Hellas, ad ogni modo,

è sempre più prossima. Subito dopo la sconfitta nella doppia semifinale

playoff con il Varese c’è un altro caso che scoppia nelle stanze di via

Torricelli. Martinelli è in ospedale per svolgere delle cure, viene informato

di un’intervista in cui Mauro Gibellini riconosce i meriti dell’avversario,

seppure, soprattutto, se la prenda con i gravi torti arbitrali a carico

dell’Hellas che hanno segnato il cammino del Verona. Ma Martinelli attacca il

diesse per quelle parole in cui il Gibo si limita a rendere onore al Varese,

che nulla c’entra con gli errori del signor Massa. In molti leggono in quanto

sostenuto dal presidente, che attacca Gibellini per questi motivi in un

comunicato stampa pubblicato sul sito ufficiale, un modo di scaricare il

direttore sportivo, il cui conflitto con Mandorlini non si è mai risolto, anzi,

è anche peggiorato. Singolarmente, lo stesso giorno della dura polemica di

Martinelli verso Gibellini, Setti, intervistato, dice senza troppi veli che il Verona

non è stato eliminato per colpa dell’arbitro, ma per la pessima prova della

gara d’andata a Varese. Conferma la fiducia a Mandorlini, dopo che erano

circolate insistenti voci su un possibile cambio in panchina e sull’arrivo di

Devis Mangia. Al tempo stesso, precisa che non potranno più ripetersi le

situazioni che si sono verificate in quei mesi, con il direttore sportivo a cui

veniva perfino vietato di accadere allo spogliatoio. L’ultimo contrasto tra

Gibellini e Mandorlini, intanto, si tiene con la conferenza stampa che il

diesse convoca all’hotel San Marco, allorché si congeda dal Verona, annunciando

il passaggio al Como, con cui firma un triennale.  Il Gibo svolge una

lunga “requisitoria” di tutti quelli che sono stati gli atteggiamenti e i gesti

che Mandorlini gli ha rivolto. L’allenatore definisce Gibellini “squallido”,

senza entrare nel merito di quelle che sono le accuse che gli sono state mosse,

e ripetendo più volte che la verità la sanno solo lui e Martinelli.

 

Sean Sogliano è già al lavoro. Direttore

sportivo rampante, ha rotto un accordo col Genoa e ha rifiutato il Siena per

accasarsi al Verona con due anni di contratto. Setti è già il presidente in

pectore, ma l’ufficialità dell’acquisto non è ancora arrivata. C’è chi mette in

dubbio l’effettività dell’operazione, finché non c’è l’okay. L’indiscrezione si

materializza il 20 giugno, la presentazione della nuova proprietà avviene il

23. Di quel che è stato seminato da Martinelli resta poco. Setti e Sogliano

ridisegnano l’organigramma, con Massimiliano Dibrogni segretario generale,

Roberto Gemmi al settore giovanile, Giovanni Gardini come direttore generale.

Tutto l’assetto viene rivisto: Siciliano è il primo a prendere commiato, la

struttura organizzativa del vivaio viene riformata. Anche la squadra, dopo i 78

punti dell’anno prima, è ampiamente rinnovata: i primi acquisti sono Rivas e

Grossi, mentre se ne vanno tanti giocatori che hanno contrassegnato il Verona

guidato da Martinelli. Sono i segni di un’altra epoca dell’Hellas che si avvia

ad aprirsi. Gli anni bui sono un ricordo che suona come un avvertimento, perché

certi errori non si commettano più. C’è una strada diversa da percorrere.

  MATTEO FONTANA

 

 

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