Il Bentegodi al tempo del coronavirus è un muro di silenzio. Tacciono le strade attorno a Piazzale Olimpia. Fin dal mattino, sembra di arrivare in un santuario e scoprire che le reliquie non ci sono. La notizia del rinvio di Verona-Cagliari non tutti l’hanno appresa nella tarda serata di sabato. Chi si era coricato prima dell’annuncio dato dal premier Giuseppe Conte l’ha scoperto al mattino, mentre già si preparava a prendere la sciarpa gialloblù e cominciare il pellegrinaggio morale che conduce allo stadio. C’è un rituale che accompagna l’avvicinamento alla partita, dogmi che hanno qualcosa di religioso, nella fede collettiva che la città ha per l’Hellas. La messa gialloblù non è neanche cominciata.
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Verona e il silenzio
Lo stop alla partita con il Cagliari sconvolge le abitudini dei tifosi gialloblù. In attesa di capire perché
DESERTO I palazzi del quartiere sono sonnacchiosi. Soltanto due settimane fa il risveglio era stato un incanto: in molti neppure avevano chiuso occhio dopo la vittoria sulla Juventus. Stavolta, invece, si percepisce un disorientamento poco meno che capillare. Già ben prima dell’ora di pranzo, lungo i viali che circondano lo stadio si moltiplicano i banchetti che sfornano panini per gli affamati tifosi che prima di entrare al Bentegodi mangiano un boccone. L’odore della porchetta che cuoce, della cipolla, della carne cotta sulla piastra non si avvertono. L’aria è tiepidamente invernale, con la primavera che già bussa alle porte. Sono chiuse, però, quelle del luogo in cui si celebra il culto per il Verona. Gli operatori di Dazn che avrebbero dovuto occuparsi della trasmissione in diretta della partita smantellano le apparecchiature. A colpire, più di tutto, è la mancanza dell’affollamento che presto si palesa fuori dai bar, dai pub, dai chioschi, dalle birrerie che rendono vivace – e ancor di più unico – il clima che anticipa (e poi segue) le partite dell’Hellas. Le serrande sono abbassate. Le aperture sono state posticipate ad orari ordinari: non a mezzogiorno, o prima, come avviene in occasione delle sfide del Verona, ma a quanto è d’abitudine per gli altri giorni. Qui, dove la gente si incontra, spera, sogna, parla dell’Hellas, mentre dietro ai banconi i gestori fanno salti tripli per soddisfare le richieste di pinta di birra, la magica bevanda che fa da sottofondo alle chiacchiere a tutto Verona, non vola una mosca. È un deserto senza rumore, spezzato solamente dalle persone che portano a spasso il cane e dagli sguardi sconcertati di quelli che già si pregustavano il solito giorno di passione per l’Hellas: cantare, tifare, soffrire, abbracciarsi, sbraitare, gioire oppure dolersi. Questo è il calcio, questo è il Verona. Ma non domenica 23 febbraio 2020, già.
PRECAUZIONE Quanto al club, è il direttore operativo Francesco Barresi a chiarire i contorni della situazione: “Dopo uno scambio di comunicazioni con gli uffici della Lega Calcio – dice –, è stato diramato un comunicato in cui si ufficializzava il rinvio di alcune gare. Ci siamo attenuti a quanto disposto dagli organi competenti in materia, affrontando l’argomento nella nottata di ieri e confrontandoci con gli organi federali, le autorità locali e i nostri rappresentanti in Lega. Si è convenuto che la soluzione migliore al momento fosse questa, anche coerentemente a quanto era stato già disposto nella giornata di ieri per i luoghi di aggregazione e di maggiore affluenza”. Precisa Barresi: “Non che si fosse riscontrata una criticità particolare, ma in questi casi la precauzione è d’obbligo, rappresentando l’unico strumento attuabile al momento. In queste circostanze è necessario dimostrare razionalità ed essere a disposizione in maniera collaborativa, confidando nel senso civico di ogni cittadino nell’attuare quanto disposto e condiviso dalle autorità preposte”. In attesa di capire quando sarà recuperata la partita con il Cagliari, l’ipotesi che fino alla fine dell’emergenza i turni interni del Verona si disputino senza pubblico (l’8 marzo arriva il Napoli) non è una vaghezza. Ancora il deserto, ancora il silenzio.
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