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Verona-Sassuolo, gli appunti. “Pallone entra quando Dio vuole”

Getty Images - 25.10.19

La serata di Juric, l'assenza di Veloso, e quel mistero chiamato gol

Andrea Spiazzi

Ivan Juric se ne stava, attendendo di iniziare la sua conferenza stampa mentre doveva ancora concluderla De Zerbi, seduto sulle scalette di marmo che portano in sala stampa, in quella lingua di Bentegodi dove fioccano ogni volta stewart diversi, che ti controllano se hai il pass nonostante sia 25 anni che entri in quella sala asfittica dove i giornalisti picchiano sui tasti alla ricerca della maniera migliore di raccontare una partita. Vedono Sky, ma non Dazn che l'abbonamento costa troppo.

Testa bassa a guardare sul telefono le azioni della gara appena conclusa, l'uomo di Spalato non godeva di buon umore ieri, probabilmente pensando ai pali e a come cavolo fare per riuscire a far buttar dentro un pallone ai suoi, che pigliano comunque applausi per la grinta e il gioco che offrono, quello che lui ha insegnato. Di questi applausi senza punti ne farebbe volentieri a meno lui, specialmente di quelli degli avversari, come quelli che gli abbiamo visto porgere dai dirigenti del Sassuolo nel tunnel.

Sorriso di circostanza, elegante, ma braci ardenti di rabbia dentro. E non toccatelo sull'agonismo dei ragazzi: chi, nel secondo tempo, lo ha visto calare viene “fucilato”. Quello, in effetti, non si può dire sia venuto meno ed è una delle poche note per cui rallegrarsi di ieri. Alla fine dell'incontro con la stampa, Juric si rolla una sigaretta, ed esce.

Immaginiamo la sua notte. Poco dormire, molto pensare. E quella frase di un suo famoso collega jugoslavo che forse gli sarà venuta in mente: “Pallone entra quando Dio vuole”. Ci sono giocatori di diverse religioni nell'Hellas. Ognuno preghi il suo Dio, dunque, perché zero gol per gli attaccanti in nove giornate sono una piaga mandata dall'alto, forse.

Pregare, annotare, e al mercato pensare, che metà del girone di andata è fatto. A meno che si rompa la diga che sta trattenendo tutti i palloni destinati al gol nelle gambe degli attaccanti, e che inizino a piovere reti. Fantasia legittima, che però oggi si scontra frontalmente coi freddi numeri coi quali bisogna per forza fare i conti

Per segnare occorre tirare. 4 tiri nello specchio sono pochi (8 totali). Tanti ne ha fatti il Sassuolo (15 però i totali) che tuttavia ha gente che la vede meglio, la porta. Occorre, forse, che ci si provi di più anche da parte dei centrocampisti, se così non basta. E se i pali sono 8 in stagione, vale la pena non pensarci troppo per non cadere nella sindrome del “non entra mai”.

Veloso e Amrabat. Se il primo non c'è l'Hellas perde più di metà del gioco e della capacità di offendere. Perfino sui calci d'angolo, ieri battuti malissimo: sono stati 9, non pochi. Se poi il numero 34, come annunciato, non è in piena forma, si perde potenza e possibilità di “fare male” agli avversari. L'architrave del Verona sono quei due, se ce ne fosse bisogno di scoprirlo. Ieri gli altri hanno supplito con bravura, ma non è stata la stessa cosa.

Salcedo e Tutino. A Parma potrebbe essere la loro occasione. Qualcosa di diverso bisognerà pur provare.

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