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L’unica scelta popolare è vincere

Setti ha puntato su D'Amico e Grosso per il nuovo Verona. Per superare lo scetticismo c'è una sola ricetta: fare risultati

Matteo Fontana

Il gran parlare sulla definizione imminente (e di fatto già completata, in attesa delle ufficialità di rito) dell’area tecnica del Verona ha la stessa consistenza di una campagna elettorale permanente: tanto ineluttabile quanto burrosa.

Tony D’Amico e Fabio Grosso saranno rispettivamente il direttore sportivo e l'allenatore del prossimo Hellas. Che lo scetticismo li attorni è cosa nota, soprattutto per il primo, in quanto già stretto collaboratore di Filippo Fusco, contestatissimo dalla piazza gialloblù fino alle dimissioni rassegnate a Benevento, e pure oltre. In questo senso, alcune settimane fa dal tam-tam social si è passati a una presa di posizione precisa, diffusa tramite comunicato dalla Curva Sud.

Poi è arrivata la replica di Maurizio Setti. Una lunga nota in cui il presidente ha precisato – sempre che ce ne fosse bisogno – che la proprietà del Verona resta sua e che non si farà influenzare in nessun modo da chicchessia nelle decisioni da prendere. E non c’è dubbio che abbia dato seguito a una linea che, peraltro, era stata chiarita dalla pratica nei mesi scorsi, quando i tifosi reclamavano l’esonero di Fabio Pecchia, atto che Setti non ha mai compiuto (ma ci ha pensato più volte, e soltanto la resilienza del tecnico, che ha vinto sempre le gare-crocevia per il suo destino, ha bloccato la soluzione).

 

Rimane, in questo tourbillon ampiamente prevedibile nei contenuti e negli sviluppi, un aspetto di fondo: l’unica scelta popolare è vincere. Che, però, ontologicamente è una “non scelta”, perché il risultato agonistico è soggetto a variabili sconfinate e non si basa sulla volontà. Si può, tuttavia, lavorare per rendere l’alea che separa il successo dalla sconfitta meno estesa.

Per questo la considerazione su D’Amico, su Grosso e, soprattutto, sulla gestione di Setti, va delegata al sacrosanto padrone di ogni analisi: il campo. A cominciare, ça va sans dire, dalle operazioni di mercato che saranno impostate e dall’organico che verrà allestito. Rimessi i conti in ordine, aspetto che lo stesso Setti ha più volte rimarcato, dopo una cura dimagrante che ha tagliato i ponti con il passato, sacrificando la competitività della rosa, adesso serve ricostruire.

No ai pregiudizi, quindi, sì ai giudizi, se necessario sferzanti, netti, senza sconti. Quanto alla popolarità, qualche mezzo punto in più Setti se lo potrebbe guadagnare restituendo ai veronesi le tradizioni cui sono legati, a cominciare da una maglia identitaria. Chissà che non sia la volta buona, dopo i molti sgorbi cui è toccato assistere in questi anni. A proposito: molti chiacchieroni, quando l’Hellas presentò una casacca “nero pece”, e dopo un intruglio “fluo”, per non dire della combinazione “blu petrolio e giallo tuorlo”, invitavano a non farci caso, “perché siamo in Serie A”. Tutto va ben, madama la marchesa, insomma.

La verità del calcio resta una sola: se vinci hai sempre ragione. E da questo inscalfibile principio partano le valutazioni su Grosso e D’Amico. Spetta a loro: facciano vedere di che pasta sono fatti. Budget societario permettendo, perché d'accordo l'austerity, ma per rifondare il Verona non bastano le buone intenzioni.

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