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Su le maniche, vecchio Hellas

Su le maniche, vecchio Hellas - immagine 1
I limiti del Verona non sorprendono, ma i giallloblù devono cercare di fare di più
Lorenzo Fabiano
Lorenzo Fabiano Autore 

Un gol (peraltro inutile a Sassuolo) e un punto (buono col Bologna) in quattro partite. Galleggiamo grazie ai sei punti conquistati a Empoli e in casa con la Roma, due vittorie arrivate nelle prime due giornate di campionato che bisogna riconoscere come ci abbiano però premiato anche un po’ oltre i nostri stessi indiscussi meriti. Due partite dove il Verona è stato comunque bravo a fare il Verona; gamba, cervello e cuore. Lo stesso che è uscito sconfitto, immeritatamente, da San Siro al cospetto di un Milan con la testa che ancora gli girava dalle cinque pappine prese dall’Inter nel derby.  Anche lì, gamba, cuore e cervello. Perché, diciamolo francamente, se solo una di queste tre componenti viene meno, la squadra si trova nei pasticci, e parecchi.

Detto che perdere con l’Atalanta, che al Bentegodi non battiamo da sette anni, non è certo un disonore, a lasciare perplessi è l’impressione che ieri sera il Verona non abbia fatto il Verona fino in fondo: in un primo tempo dove la banda di Gasperini era padrona del campo facendo con sin troppa facilità tutto ciò che più le pareva e piaceva, tra i nostri di gamba, cuore e cervello ne aveva solo l’ottimo Filippo Terracciano, enfant du pays che piace e convince sempre di più. Gli altri? Molli, spaesati, non pervenuti alla partita. Meglio le cose nella ripresa, anche in virtù dei cambi, un po’ tardivi però, di Baroni; Lazovic e Saponara hanno conferito un minimo di qualità,  il motorino Suslov ha girato la chiave e il suo tiro, ma dalla distanza e al minuto 38’, è stato l’unico in tutta la sera a costringere Carnesecchi a sporcarsi il completino arancione. Un po’ poco. Ma anche qui…se De Ketelaere non si fosse mangiato un pallone che con la zucca doveva solo appoggiare in rete, la partita sarebbe finita prima.

Dentro, nella partita, ci siamo rimasti in definitiva più che per meriti nostri (al di là di una maggiore determinazione poco altro abbiamo fatto vedere), per demerito dell’Atalanta bravissima a calare sul panno verde le carte del ciapa no. E ora? Intanto, se qualcuno ancora non lo avesse capito e si fosse fatto delle strane illusioni, è meglio che torni immediatamente sulla terra alla base di Cape Canaveral, perché appare chiaro che salvarsi sarà dura e ci sarà da soffrire anche quest’anno. Vero, come abbiamo del resto sin dall’inizio sostenuto, che la squadra c’è e l’allenatore anche; altrettanto vero che i limiti sono oggettivi, e che per curare l’endemica allergia al gol non basta un antistaminico. Ieri sera abbiamo avuto conferma di come da prima punta Bonazzoli faccia tanta fatica e Ngonge dipenda dalle sue lune, capace di tutto nel bene e nel male, tipo guizzi irresistibili o perdersi nelle ombre dell’apatia. Di positivo c’è semmai il ritorno di Henry che, vista la penuria di cui soffriamo là davanti, potrebbe esserci molto utile. Speriamo almeno.

La buttiamo lì nel dire che giocare con due punte una vicina all’altra con Saponara a supporto in rifinitura quale uomo da ultimo passaggio, potrebbe anche essere più di un’idea. Stop. Ecco vedete, abbiamo già deragliato mettendoci a fare quello che non è il nostro mestiere, ma in un Paese che vanta sessanta milioni di commissari tecnici può succedere che ti fai prendere un po’ la mano. Quelli son cavoli di Marco Baroni, a lui, e solo a lui, spetta trovare la soluzione al cubo di Rubik. A noi spetta la speranza, però, di vedere il Verona fare il Verona (ieri non lo ha fatto) e dare l’anima per rompere la carestia e racimolare qualche punto che faccia, come si diceva una volta, salute. A cominciare dalle prossime scomode due trasferte a casa di due ex; a Torino dove ci attende il tigrotto spalatino, e a Frosinone dove Sant’Eusebio “protettore dell’anima mia”, che con noi il dente avvelenato ce l’ha,  sta facendo quei miracoli invocati tanti anni fa da Nino Manfredi in “Per grazia ricevuta”. Pertanto, su le maniche vecchio Hellas, che qui c'è da sgobbare. E tanto.

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