Inesorabili, ineluttabili, i numeri che certificano il disastro: 19 punti in 27 partite, 4 vittorie, 7 pareggi, 16 sconfitte (10 delle quali consecutive tra l’11 settembre e il 13 novembre), 22 gol fatti, 41 subiti. I Led Zeppelin potrebbero riunirsi per comporre ‘Stairway to Hell’. No, a Robert Plant e Jimmy Page, non oseremmo mai chiedere tanto. Basta quell’altra, quella vera, il capolavoro. E chiediamo anche scusa per l’irriverenza. Sai com’è, quando ti fai un po’ prendere la mano dalla sconforto…La realtà è che qui si va dritti in serie B, in una discesa negli abissi verticale, come i vecchi palombari. Ci siamo abituati: il Verona che compie 120 anni, ha passato la vita in ascensore, in un sali e scendi tra massima categoria e cadetteria. Niente di nuovo, sarà così pure stavolta. Certo, che celebrare il compleanno così…Amen.
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Disastro Verona: tutti giù per terra
Se i numeri sul campo non lasciano scampo, ce ne sono altri che dicono ben di peggio: questa è una stagione da quattro allenatori a libro paga (tre sul campo, di cui uno esonerato e il suo sostituto senza patentino affiancato da un altro a fargli da tutore) e due direttori sportivi, con il figliol prodigo Sean richiamato al capezzale del Verona, dopo che Marroccu è stato di fatto sconfessato fino a sparire dai radar. Roba che neanche Cellino e la buonanima di Zamparini. Proviamo allora per un attimo a non essere tifosi (durissima) e a guardare le cose a mente fredda (altrettanto durissima): secondo voi una società in simili condizioni è una società da serie A? Merita di rimanere in massima categoria? Vero che in un campionato mediocre come questo è in buona compagnia, ma no, questo Verona non lo merita. Fa male doverlo dire, ma l’onestà vien sempre prima di tutto il resto. Onestà che si deve alla passione della gente, il cui afflato (almeno nella nostra visione un po’ romantica) al di là della cosmesi del marketing e dei conteggi plusvalenze (quelle del Verona son vere) rimane il primo patrimonio di un club.
La storia di questa disgraziata stagione la conosciamo tutti bene, è trita e ritrita, incisa sulla pietra: un scempio combinato in estate che ora presenta inevitabilmente il conto. Per tre anni, due con quel matto di Ivan Juric e uno con il centurione Igor Tudor, il Verona è stato una macchina perfetta: vinceva e divertiva alle soglie dell’Europa. Ci eravamo abituati bene. Poi, la scorsa estate la macchina è stata smontata pezzo per pezzo (imperdonabile non trattenere un uomo come Tony D’Amico) per ripartire l’ennesima scommessa. Rien ne va plus. Il motore ha cominciato subito a battere in testa, ed è andata male. Sogliano è stato chiamato a metterci una pezza al mercato di riparazione, ma le falle erano troppe. Un mesetto di effetto placebo, e poi tutto come prima. Di retrocessioni ne abbiamo vissute tante, ognuna con la sua storia e le sue dinamiche. Quella che verrà è una di quelle che fanno più male: un suicidio perfetto.
C’erano le condizioni per aprire un piccolo ciclo e spassarcela sereni per un po’. La società non ha voluto o, secondo la versione di via Olanda, non ha potuto. Poco cambia: se non ha voluto è grave, se non ha potuto pure, perché significa che le fondamenta per stare in serie A non sono poi così solide. E allora finisce che gira la terra e tutti giù per terra, peccato che a togliercela da sotto i piedi siamo stati noi. Va così, ecco perché questo è un Verona da serie B.
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