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Niente tiki-taka e tanto cuore, ora il Verona dimostri di potercela fare

L'Hellas lotta e vince con il Foggia, i playoff sono una lotteria da giocare con altre regole

Lorenzo Fabiano

Come Lazzaro il Verona si alza e cammina. Calma e gesso, dicevano i nonni: presto capiremo se di resurrezione si tratta, o invece ci troviamo di fronte all’illusione di un placebo. La notizia è che siamo ai playoff, appena una settimana fa un miraggio. Non che ci sia da stracciarsi le vesti, ma vista la piega che aveva preso la situazione, è già qualcosa. Almeno questo minitorneo ce lo giochiamo, poi andrà, come andrà. Intanto però qualcosa di buono si è finalmente visto. Nel pomeriggio più difficile, sotto di un gol e virtualmente all’inferno, la squadra che fino al collo stava sprofondando nelle sabbie mobili, ha trovato la forza di riemergere. Come ha onestamente sottolineato lui stesso, Alfredo Aglietti poco poteva fare in un così ristretto lasso di tempo, ma quel poco è tangibile.

 

Il suo Verona è improntato all’equilibrio e alla sostanza: meno fraseggio, meno stucchevole circolazione della palla, maggior ricerca della profondità in transizione verticale, e ricorso al vecchio sano contropiede. Il pari siglato da Di Carmine è nato in rapida percussione da una palla rubata a centrocampo. È un’idea di calcio più “italiana”, votata più alla concretezza che all’estetica, mica una bestemmia. Se il tiki-taka è uscito a brandelli dalla Little Big Horn di Anfield, a maggior ragione non vediamo come possa riscuotere fortune nelle provincie della serie B italiana dove le truppe alzano le mura di cinta a difesa del fortino. Prima o poi anche nelle aule didattiche di Coverciano, la questione andrà posta. Contro il Foggia, due risorti come Lazzaro li abbiamo comunque visti. Samuel Di Carmine ha timbrato una doppietta e un pomeriggio così a Verona non lo aveva mai vissuto; Karim Laribi in 83 minuti ha fatto vedere tutto ciò che non gli era mai riuscito di fare per tutto l’arco della stagione. In un’ora e mezza i due sono passati da oggetti misteriosi a pedine a quanto pare ritrovate. Veniamo a noi: chiuso un campionato, costellato di alti (pochi) e bassi (tanti), se ne apre ora un altro. Presentatosi la scorsa estate in griglia di partenza come una delle favorite, Il Verona ha penato terribilmente a sopportare il carico e la pressione di una simile responsabilità.

 

La rosa messa insieme da D’Amico ha qualità ma non dobbiamo dimenticare che è pur sempre la seconda più giovane di tutta la serie B e che dopo la retrocessione dello scorso anno, è stata praticamente rifatta da cima a fondo. Ai playoff il Verona non arriva certo con il peso dei favori del pronostico sulle spalle, ruolo che spetta a Benevento e Palermo (in attesa di capire che succederà in tribunale): alleggerito dalle pressioni e libero dalle paure, può dire la sua. Qualcosa d’impensabile da appena sette giorni dal disastro di Cittadella. Sabato contro il Foggia la squadra è uscita tra gli applausi di un pubblico che l’ha sostenuta incessantemente dal primo minuto. Non accadeva da mesi. La gente più che vittorie chiede infatti cuore. E ora? Il calcio coltiva la sua bellezza con i semi dell’imprevedibilità. È l’Elogio della Follia di Erasmo, l’appello al “Stay foolish” di Steve Jobs. Chissà che allora questo dannato Verona, dopo aver trascorso in classe più tempo dietro la lavagna che al suo banco, non riesca a combinarne una buona. A volte 'ste cose succedono, soprattutto quando da perdere non si ha più nulla e di mezzo c’è un pallone che rotola sull’erba verde.

 

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