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Risotto e pallone

Domande, perplessità e possibili risposte sull'affare Mantova-Setti

Lorenzo Fabiano

Non sappiamo se Maurizio Setti apprezzi più il risotto all’Isolana o quello alla Pilota. Diciamo che su e giù dalla Via Postumia, avrà modo di deliziarsi le papille gustative. Buon per lui. Come noto, attraverso un aumento di capitale di 623mila euro il proprietario del Verona ha acquisito il pacchetto di maggioranza del Mantova: avrà ora un mese di tempo per versare la somma e onorare l’impegno. Molto si discute sulle ragioni dell’operazione. C’è chi la guarda con favore e la giudica un’opportunità; di opposto parere sono coloro che la vedono come pura speculazione e uno schiaffo al cuore della storia gialloblù.

 

L’idea non è certo nuova: già ad inizio anno Setti aveva provato a prendersi una piccola fetta del Modena; non essendosene verificate le condizioni, ha colto al volo l’occasione che gli si è presentata a Mantova. Il motivo? Allargare il bacino dell’Hellas Verona attraverso la stretta collaborazione con un club limitrofo impegnato nelle categorie minori creandone le premesse per una sinergia che nella crescita dei ragazzi provenienti dal settore giovanile abbia il suo fulcro. Detta così non fa una grinza, ma entrando nella sfera politicamente più scorretta, Mantova è da oggi la periferia calcistica di Verona. Ecco quindi spiegato perchè le acque del Mincio che scorrono solitamente placide fino al confine del Ponte Visconteo di Borghetto, si siano fatte agitate. Stando a quanto leggiamo e ascoltiamo, non è che al di qua del ponte siano più tranquille. Insomma, in par condicio Catullo e Virgilio condividerebbero versi d’incazzatura. L’altra sera, sul far del crepuscolo al bar del quartiere ci siamo trovati al centro di un acceso dibattito sul tema: attacco e stoccata: «Ma come? Non abbiamo nemmeno i soldi per il Verona, e andiamo prenderci il Mantova?». Parata e risposta: «Sì, ma guarda che il Mantova costa quanto metà dell’ingaggio di Pazzini». Altro che salotti e salottini in tv. Come te nessuno mai, caro Bar Sport.

 

Torniamo a noi. Le cose stanno più o meno così: da tempo sentiamo parlare delle cosiddette squadre B, realtà consolidata da anni e anni in Spagna, solo un’idea o poco più buttata lì tra balbettii e mal di pancia al momento in Italia. Come minimo, la riforma slitta di un anno. Poi vedremo. Intanto, laddove non esistano le condizioni per potersi permettere le squadre B, l’alternativa è rappresentata dalle società satellite (la galassia ne pullula. Lazio e Salernitana: oggi Lotito ne è l’esempio più lampante).

In questo senso l’acquisto del Mantova (club attualmente in serie D) non va interpretato come un disimpegno di Setti dal Verona, ma semmai un rafforzamento in ottica strategica e un adeguamento a una pratica diffusa nel calcio attuale. Nessuna diavoleria quindi. Il problema è tuttavia secondo noi un altro: se questa è la lettura corretta, sarebbe anche il caso di spiegarla a chiare lettere. Non ci vorrebbe poi molto. Sappiamo quanta allergia provochino al presidente telecamere e taccuini, ma, come del resto a più riprese lo abbiamo invitato a fare da queste colonne, due parole ai tifosi ogni tanto non guasterebbero. Tant’è.

 

La gente del Verona ha sofferto le pene di un annus horribilis: a ragione è arrabbiata e preoccupata per il futuro. Tra delusione e incertezza, attende segnali. L’acquisto del Mantova, pur positivo che possa essere, non è certo uno di questi. Diciamo che quantomeno è la tempistica dell’operazione a suscitare tanta perplessità, ma se l’occasione era da cogliere al volo, i tempi questi erano. Quisquilie, al confronto con ciò che ci preme sul serio. L’unica risposta che Setti è infatti tenuto a dare alla tifoseria è allestire un Verona in grado di poter ambire alla risalita dove gli compete per poi mettere in pianta stabile i piedi giù dall’altalena. Il Mantova allora, ingoiato oggi come un’amara pillola, non sarà che uno zuccherino. Anzi, diciamo pure un buon risottino.

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