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VISTO DA NOI: TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULL’HELLAS (E NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), P

Il romanzo che racconta le "grandi manovre" di questi anni con il Verona al centro dello scacchiere

Redazione Hellas1903

Una nuova società, un nuovo Verona. Ambizioni ritrovate, dopo anni oscuri. Anni da rivedere, da riconsiderare ora con il distacco dato dal tempo. Tutto quello che non è stato detto o scritto: il riflusso delle stagioni che hanno accompagnato l'Hellas dalla cessione del club da Pastorello ad Arvedi fino alla gestione Martinelli. Tentativi di fusione, poteri forti, progetti faraonici e business selvaggio. Un racconto a puntate con tanti protagonisti e poca voglia di concedersi a degli omissis. Partiamo da qui, e che nessuno si sbalordisca troppo durante il tragitto. Era settembre. L'anno il 2006, e Giambattista Pastorello incontrò Renzo Barcè, già presidente del Treviso dal 1997 al 2001, con cui era legato da buoni rapporti, e gli disse: "Ce l'ho fatta, ho venduto il Verona. E mi sono tolto un peso". Il Verona, di cui Pastorello era stato proprietario dal 1998 fino a quel giorno, era passato nelle mani di Piero Arvedi. Il conte, già socio di minoranza del club, aveva rilevato l'intero pacchetto azionario dell'Hellas. Il fallimento era prossimo ad avvenire: in mancanza di risorse, si sarebbe materializzato nel giro di pochi mesi. Il Verona sarebbe ripartito da un campionato minore (all'epoca era in B) e a Pastorello, sulla base del lodo Petrucci, non avrebbe più potuto svolgere mansioni dirigenziali in una società calcistica.Arvedi salvò l'Hellas e la carriera professionale del suo vecchio amico, con cui le relazioni si erano incrinate dopo che Pastorello aveva dato il suo okay, come presidente del Verona, al progetto di un nuovo stadio alla Spianà. Un'idea a cui partecipavano i costruttori Mazzi e Lonardi insieme a Luca Campedelli, numero uno del Chievo. Arvedi, al contrario, aveva un altro piano: un impianto nella zona della Cava Speziala, a San Massimo, con orti botanici e percorsi nel verde, su disegno dell'architetto Ardielli e su terreni in gran parte di proprietà della Curia.La mossa di Pastorello aveva scatenato le ire di Arvedi. Ma la frattura fra di loro, palese in pubblico, si era ricomposta in privato. Tant'è che quando il conte fu operato al cuore, poche settimane prima di definire l'acquisto del Verona, al suo capezzale, all'ospedale di Peschiera, c'era Elena Albertini, allora moglie di Pastorello, il quale si recò, accolto con calore, a trovare Arvedi, insieme a Peppe Cannella.Cannella, appunto. Il Verona del conte aveva in questo dirigente venuto da Nocera Inferiore, con un passato tra Salernitana e Cagliari, il plenipotenziario. Ad Arvedi era stato presentato da ambienti politici, nella persona di Paolo Bellieni, uomo del Pdl di Vicenza, con cui Cannella, che aveva una ditta di occhiali, era entrato in contatto per un'esposizione fieristica nella città berica.In tutto questo emerse uno smacco forte per Massimo Ficcadenti, allenatore del Verona che era rimasto all'Hellas dopo aver chiuso un accordo per il trasferimento al Brescia. Ma alcune pendenze contrattuali nei suoi confronti da parte di Pastorello l'avevano indotto a non firmare la rescissione del vincolo che, per altre due stagioni, lo legava alla società allora di Corte Pancaldo. Ficcadenti era rimasto, ma Cannella non lo voleva vedere neanche a distanze siderali. Poco meno che debuttante in panchina, nel 2002, l'agente Mino Raiola aveva interpellato Cannella, da sempre vicino all'ex proprietario del Foggia e della Salernitana Pasquale Casillo, appena entrato in possesso dell'Avellino, per chiedergli se in Irpinia non potessero essere interessati ad avere come tecnico Ficcadenti, a sua volta amico di Raiola. La richiesta fu esaudita, ma Cannella imputò a Ficcadenti di non essere stato sufficientemente "riconoscente" nei suoi confronti. Inoltre l'esperienza dell'allenatore ad Avellino durò poco: già ad agosto se ne andò dopo dei contrasti con la dirigenza campana.Al Verona l'aveva portato Mauro Gibellini, che era rimasto impressionato dal suo 4-3-3 alla Pistoiese, nel 2003-2004. Ficcadenti, in quell'Hellas che il Gibo costruì con i pochi euro concessigli, superò ogni diffidenza e a fine andata la squadra era in piena zona playoff. Ma Pastorello non accettò di cedere la società all'imprenditore lombardo Barzaghi, spalleggiato da Alessandro De Blasi, manager di origine romane. Gibellini, che si era esposto per la cordata che voleva subentrare, fu tagliato fuori da Pastorello, con cui andò in causa. Le sue ragioni vennero riconosciute e il Verona gli dovette pagare lo stipendio fino alla fine del 2005 e l'utenza telefonica.Intanto Ficcadenti aveva rinnovato con l'Hellas. Un triennale, dopo aver declinato le richieste di Catania e Cagliari. Pastorello gli riconobbe un bonus insolito e particolare: una percentuale sulla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita dei giocatori ingaggiati. Un patto che, quando Arvedi divenne patron, Cannella rinfacciò a Ficcadenti. Nel pranzo prenatalizio del 2006, con il Verona relegato nella bassa classifica, con 11 punti e un desolante score di 6 gol fatti nelle prime 17 partite, il direttore sportivo esclamò: "Ficcadenti dice di essere nemico di Pastorello, in realtà è stato un suo socio". Nel frattempo Cannella aveva attratto il malumore dello spogliatoio verso l'allenatore, che aveva già rischiato l'esonero dopo la sconfitta interna di ottobre con l'AlbinoLeffe. In preallarme c'era Colomba, ma il Verona si riscattò pareggiando col Genoa (di cui era diventato dg Pastorello...) e vincendo a Vicenza. Al Menti, nel dopogara, un Arvedi commossò dichiarò a Sky: "Ho il miglior allenatore al mondo". Al lunedì, a Cavalcaselle, nella villa del conte, a Ficcadenti e al suo staff fu offerto un banchetto con ostriche per festeggiare. Cannella incassò il colpo e riprese a tessere la sua tela. E Ficcadenti, tempo dopo, si pentì di non aver chiesto proprio quel giorno ad Arvedi di mettere alla porta il diesse.I risultati che seguirono furono pessimi. I giocatori avevano marcato la distanza con l'allenatore. D'altronde Italiano, che già in estate avrebbe voluto passare al Chievo, aveva ricevuto l'assicurazione che a gennaio sarebbe stato lasciato partire per accasarsi alla corte di Luca Campedelli. E ad agosto, nel corso di un'amichevole a Zevio, Ficcadenti aveva "attaccato al muro" pubblicamente il giocatore, che aveva manifestato davanti ai compagni il suo desiderio di andarsene. Frizioni forti che si allargarono a macchia d'olio. Ficcadenti venne isolato, Cannella vinse la sua personale battaglia: dopo lo 0-3 del Bentegodi con il Mantova scattò il licenziamento. Ma già il giorno prima di quella gara (in programma il venerdì) era stato comunicato al gruppo dei calciatori che Ficcadenti non sarebbe più stato il loro allenatore. E il compiacimento di molti segnò l'esito definitivo dell'avvenimento. Nel contempo, Arvedi aveva azzerato il CdA dell'Hellas e si era preso in prima persona la carica di presidente, lasciata prima a Sergio Puglisi Maraja, prima tifoso e poi legale del Verona. Frattanto Casillo, tramite Cannella, si era fatto avanti per entrare in società con il conte, che tentennò e tenne per sé per intero il club.Il Verona fu affidato a Giampiero Ventura. Ficcadenti tenne un'affollata conferenza aperta ai tifosi all'hotel San Marco per accomiatarsi. E Cannella, di fatto, si era preso le chiavi dell'Hellas: Arvedi aveva la cassa, ma il burattinaio nella stanza dei bottoni era un altro.(1. Continua)Matteo Fontana

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